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 2011  luglio 05 Martedì calendario

L’ex presidente non lascia le sale del potere - L’ ufficio romano è sempre quello terzo piano di piazza Venezia, splendida vista sull’Altare della Patria - ma tutto il resto non c’è più

L’ex presidente non lascia le sale del potere - L’ ufficio romano è sempre quello terzo piano di piazza Venezia, splendida vista sull’Altare della Patria - ma tutto il resto non c’è più. Il Cesare Geronzi che ieri sera subisce una condanna a quattro anni in primo grado per il crack Cirio è al momento - siamo pur sempre in quelle italiche sfere dove nulla si distrugge e tutto si trasforma - a tutti gli effetti un ex potente, che pur senza cambiare stanza è scivolato dal vertice delle Generali alla guida della Fondazione benefica della compagnia. La condanna, che fino a qualche mese fa apriva scenari cupi sulla sua permanenza come presidente del Leone, non cambia così adesso la sua situazione. In quelle sale di rappresentanza nella sede romana delle Generali che prima o poi qualcuno vorrebbe chiedergli di lasciare, Geronzi mantiene il suo ristretto staff di fedelissimi e seppur privo di cariche operative continua a coltivare una rete di contatti che non si fatica ad immaginare ancora ampia e ai massimi livelli. «Resto tranquillo - è il suo commento a caldo perché continuo a ritenere di avere agito correttamente, esercitando il compito proprio, naturale del banchiere, senza commettere alcun illecito. Diversamente, in casi della specie la funzione di ogni banchiere resterebbe paralizzata». E poi, anche «per la fiducia che nutro nella magistratura confido che in sede di appello come è già accaduto in un’altra circostanza del genere» ci sia il proscioglimento. Ma grane giudiziarie a parte, Geronzi pensa probabilmente anche se e come riuscirà a ribaltare quella congiuntura che lo scorso 6 aprile lo disarcionò senza preavviso dalla presidenza delle Generali su impulso forte della Mediobanca guidata dall’ad Alberto Nagel e dal presidente Alberto Pagliaro. All’epoca di Cirio, è in sostanza l’accusa dei Pm che i giudici hanno fatto ieri propria, Geronzi non poteva non sapere quali decisioni prendeva la Banca di Roma. Ormai rischi di questo genere appaiono per lui assai ridotti. A capo della Fondazione Generali - è stata questa la carica onorifica assegnatagli, assieme a una più concreta buonuscita da 16 milioni, per ottenere le sue dimissioni - l’ex presidente del Leone può decidere in modo autonomo erogazioni solo fino a 10 mila euro; per ogni cifra superiore ha bisogno dell’assenso del consiglio nel quale siedono quei manager di Trieste con i quali - per usare un eufemismo - non ha mai legato. Una nemesi che suona beffarda per l’uomo che per decenni è stato uno dei banchieri di riferimento del sistema politico, economico ed editoriale - dal Manifesto alla Fininvest - giocando da protagonista nel mondo della finanza italiana. Se per lui adesso è dura l’imperativo è non darlo a vedere. Con il sorriso inossidabile di sempre, l’ex presidente centellina le sue apparizioni ma non è certo scomparso. Lo si è visto alle Considerazioni finali del Governatore Mario Draghi, passerella d’obbligo per l’élite finanziaria, ma anche liturgia del potere quasi obbligata di un uomo che sostiene di portare addosso «come un saio» l’antica esperienza in Banca d’Italia. Ha avuto dalle mani dell’amico Gianni Letta un premio intitolato a Guido Carli ancora un banchiere centrale - cogliendo l’occasione per un pubblico discorso in cui ha messo in guardia dal «rischio dell’apoteosi delle arciconfaternite del potere» alle quali pure non deve essere stato del tutto estraneo. E simbolica è stata anche la presenza al matrimonio Mezzaroma-Carfagna, cerimonia che salda nel legame amoroso potere degli affari capitolino e potere politico, rappresentato ai massimi livelli. A qualcuno degli ospiti che incontra in queste settimane, Geronzi ha ridato appuntamento a settembre ipotizzando per quell’epoca sviluppi significativi. Forse una previsione sul suo futuro, forse solo il constatare che sul governo Berlusconi- altro asse portante del suo sistema di potere - non si possono fare scommesse di lunga durata. Dallo stesso Berlusconi, del resto, non risulta che l’ex presidente sia stato difeso: né pubblicamente né nelle sale di Mediobanca, dove la figlia del premier, Marina, siede in cda. E destinata ad essere delusa pare essere anche la «vox populi» sapientemente alimentata nei mesi scorsi, secondo cui i soci francesi di piazzetta Cuccia capitanati da Vincent Bolloré, avrebbero difeso l’onore di Cesare mettendo a ferro e fuoco gli accordi tra i grandi azionisti.