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 2011  luglio 04 Lunedì calendario

Klitschko, fratelli di pugno - La linea di successione è stata ristabilita, c’è un solo nome per tutte le cinture dei pesi massimi, Klitschko

Klitschko, fratelli di pugno - La linea di successione è stata ristabilita, c’è un solo nome per tutte le cinture dei pesi massimi, Klitschko. Ed è così che funzionava negli anni d’oro della boxe: un susseguirsi di campioni certi, di facce note di Jack Johnson, Jack Dempsey, Joe Louis, Rocky Marciano, Sonny Liston, George Foreman, Muhammad Ali, Larry Holmes, Mike Tyson, Lennox Lewis da pronunciare uno dopo l’altro, a memoria come si faceva con le formazioni di calcio. Poi le sigle che frantumano il mito e i nomi che si confondono, ultimo momento di vera gloria nel 2002 con Lennox Lewis che manda a tappeto Mike Tyson e diventa re, dopo il caos. Fino a sabato notte quando Wladimir Klitschko ha battuto ai punti David Haye e ha portato a casa l’unica cintura mancante. Adesso c’è un solo nome a dominare, anche se non c’è un unico pugile perché i Klitschko sono due e sono il meglio solo insieme. Non si saprà mai chi è il più forte perché non combatteranno mai tra loro. Una promessa fatta a mamma secondo la leggenda, una clausola sul contratto per i più maligni, una certezza per i due ucraini che si muovono in simbiosi, stanno uno all’angolo dell’altro e non potrebbero concepire di prendersi a cazzotti: «L’idea di tirare un solo pugno a chi ha il mio stesso sangue mi ripugna», ha chiarito Wlad dopo il successo. E non c’era neanche bisogno della spiegazione. Bastava guardarli sul ring di Altona, sobborgo di Amburgo, luogo scelto da Sartre per il dramma «I sequestrati di Altona» e dai Klitschkos per la consacrazione. Non conta chi combatte, importa solo chi vince. Il più teso di solito è quello senza guantoni, in questo caso Vitali, il maggiore. Ha quasi quarant’anni, è stato in prima linea durante la rivoluzione arancione, oggi fa il consigliere per il premier ucraino, l’uomo immagine del suo paese per gli Europei 2012 e la spalla del fratello. Sempre. Lo ha accompagnato sul quadrato, troppo teso per partecipare alle spacconate prima della campana, lo ha protetto anche se entrambi sono degli armadi che sfiorano i 2 metri. Lo ha scortato con lo sguardo, incitato durante le riprese e travolto al dodicesimo round, l’ultimo, quello che li ha portati nella storia, insieme. L’incontro è scivolato via, tanto atteso quanto noioso per colpa soprattutto dello sfidante, David Haye, il britannico tutto chiacchiere rimasto senza neanche un distintivo. Ha insultato i fratelloni per settimane, strafottenza del lottatore, un bisogno di sicurezza che cresce a ogni buffonata e la maglietta con il fotomontaggio dello scandalo: lui che tiene in mano le due teste mozzate dei Klitschko. Uscita di cattivo gusto per gli amanti della boxe e ancora una volta prova che i Klitschko in realtà sono un pugile solo: se devi combattere contro uno ti prendi anche l’altro. Pacchetto completo. Forse hanno ragione loro, il titolo dei pesi massimi è davvero unificato, Vitali e Wladimir sono una squadra, nella boxe non si è mai visto ma questi giganti laureati e capaci di parlare cinque lingue hanno stravolto più di una regola. Sono classici, non entusiasmano eppure ti trascinano a tifare per loro, hanno colpi semplici e gli basta piazzarne pochi visto la potenza e la precisione che ci mettono. Raramente gli avversari riescono a infastidirli e loro non escono allo scoperto senza motivo, controllano. Sul ring e fuori. Evitano le uscite da sbruffoni, si completano e non si confrontano mai. Sono uno lo specchio dell’altro, va bene dire «non combatteremo tra noi» ma se fossero sul serio due persone distinte prima o poi sentirebbero il bisogno di stabilire chi è il migliore. Anche solo nel chiuso della loro palestra, una singola volta, giusto per capire chi è il numero uno. Sarebbe umano, normale, necessario. Invece niente, mai un’invidia, neanche l’ombra di un dispetto e empatia totale. Non avvertono il bisogno di sapere, non sono affatto interessati a stabilire chi comanda: uniti sono il massimo e tanto basta. Figli di un colonnello dell’aviazione sovietica, sono nati nei posti dove lavorava papà (Vitali in Kyrgyzstan, Wladimir in Kazakhstan) e cresciuti nelle basi aeree: Russia, Lituania e Cecoslovacchia, solo per fermarsi ai tempi delle elementari. Educazione rigida, scuola (e rapporto in famiglia con interrogazione serale), musica, scacchi e lo sport scelto come disciplina non come divertimento e tanto meno come possibile lavoro. Probabile che avessero bisogno di essere in due per sterzare dal regime militare imposto in famiglia. Vitali è partito dalla kick boxing, Wladimir direttamente dal pugilato. L’Urss non c’era più e loro hanno iniziato a muoversi verso il professionismo: «Senza strappi, siamo grati ai nostri genitori per il modo in cui ci hanno tirato su. Era dura, erano severi, ma se chiedevi una bicicletta il giorno dopo la trovavi fuori dalla porta». Famosi, colti e figli modello. Alla fine degli Anni Novanta sono iniziati gli incontri veri e le critiche feroci, soprattutto dagli americani. Li consideravano due robot, la tv li ha presentati per un decennio come macchiette, una coppia di Ivan Drago in accappatoio rosso pronti a dire «Ti spiezzo in due». Gli accappatoi rossi ci sono davvero (e li vestono entrambi, indipendentemente da chi deve tirare pugni) però il resto è cattiveria gratuita. Non sono emozionanti ma sono bravi e tutta la ferraglia che avevano sulle spalle sabato notte l’hanno conquistata un pezzo alla volta, con pochi errori e determinazione assoluta. Per Wladimir, che ha 35 anni, 56 vittorie e 49 ko in 59 incontri, per Vitali 42 vittorie e 39 ko in 44 incontri, si è ritirato nel 2005 ed è rientrato nel 2008. Adesso tocca a lui, il 10 settembre mette in gioco il titolo Wbc contro il polacco Tomasz Adamek. E anche stavolta non sarà solo, Wlad ha sistemato le ammaccature sugli zigomi ed è già pronto a dare il cambio all’angolo. Non come secondo, ma come ombra.