ALBERTO MATTIOLI, La Stampa 4/7/2011, 4 luglio 2011
Sulla tomba di Jim, 40 anni di lacrime e marijuana - Ieri, ore 17, cimitero del Père Lachaise: quanto a densità di gente, sembra di essere nella metropolitana di Tokyo all’ora di punta
Sulla tomba di Jim, 40 anni di lacrime e marijuana - Ieri, ore 17, cimitero del Père Lachaise: quanto a densità di gente, sembra di essere nella metropolitana di Tokyo all’ora di punta. Una folla colorata, rumorosa e abbastanza fatta celebra i quarant’anni della morte di Jim Douglas Morrison, 1943-1971, davanti alla di lui tomba. Transennata e presidiata, perché non si sa mai; e tuttavia coperta da un assortimento di fiori, magliette, dischi (per i dolenti più giovani, che forse non li hanno mai visti: si chiamavano 45 giri), sigarette, bottiglie di birra, candele, fotografie, lucertole di plastica («I’m the Lizard King», già) e piantine malandrine di una tenera erbetta che, a un più attento esame, si rivela marijuana. Nel popolo dei fedelissimi c’è di tutto. Come attempati hippy che non si rassegnano, e continuano a ostentare i capelli lunghi diventati bianchi. E altri che, si capisce, dopo i ruggenti Anni Sessanta si sono evoluti insieme al mondo e oggi hanno un lavoro, una famiglia, un po’ di pancia, magari hanno pure fatto i soldi e domani saranno di nuovo in giacca e cravatta. Un americano grasso tutto di nero vestito (per il lutto o perché sfina?) urla a squarciagola: «Is everybody in?», beh, guardati intorno, certo che sì. Un francese si aggira in capelli lunghi unti, giacca militare e due stivaletti, uno dorato e l’altro argentato. Una yankee ha un cappello da cowboy rosso con la data fatale, solo che l’ha scritta all’americana, con il mese davanti al giorno, dunque 7-3-71, quindi gli indigeni non capiscono. Ma questi sono i reduci, impegnati nel pellegrinaggio laico al santuario della loro gioventù. Colpisce, piuttosto, la quantità di under 30, nati quando Morrison era già morto, «ma la poesia - dice Alain dal basso dei suoi utopistici 18 anni non muore mai». Certo che, nel cimitero più famoso del mondo, questa benedetta tomba è sistemata proprio male, quasi nascosta da una cappella di una famiglia chiaramente estinta. Dal vialetto, si fa perfino fatica a leggere l’epigrafe in greco che racconta così bene Morrison, «Kata ton daimona eautou», nel segno del suo demone. Così i fan salgono senza tanti complimenti sui vicini di tomba. A sinistra, povera la famiglia Duruflé, tutta qui da Michel Victor Duruflé (1765-1835) a Marie-Léonie Antoinette Duruflé, nata Renouard (1864-1953). Da destra, chissà come avrebbe commentato lo spettacolo, in cima alla sua stele, il conte Antoine François de Vantes (o qualcosa del genere, il marmo è corroso) che, nato nel 1756, morì nel 1835, quindi attraversò l’Ancien régime, la Rivoluzione, il Direttorio, il Consolato, l’Impero, la Restaurazione, i Cento giorni, un’altra Restaurazione, un’altra Rivoluzione e la Monarchia di luglio: al confronto, scusate, la guerra del Vietnam è una scampagnata. L’happening continua. Passano, diretti a qualche pio ufficio, due francescani allibiti. E fanno una capatina perfino un paio di madame dell’epoca di De Gaulle che, impegnate nella quotidiana visitina al caro estinto, non hanno resistito alla curiosità. Alle 17,45, implacabili e burocratici, i guardiani vengono a buttarci fuori agitando campanacci da monatti. Sfollando, si conferma una vecchia regola: ovunque tu vada, l’italiano non manca mai. Anzi, gli italiani: otto ragazzi ambosesso sulla trentina da Montebelluna e dintorni trevigiani, cioè l’intera band The Shaman’s Blues più un poeta («Abbastanza noto, soprattutto nel Triveneto», dice), Marco Gottardi. Sono matti, quindi simpaticissimi: si sono fatti una maglietta ad hoc, molto ammirata, erano già qui anche per il trentennale e sono arrivati in mattinata. Purtroppo nelle loro devozioni hanno fatto una breve pausa pranzo e, maledizione, proprio in quella mezz’oretta sono arrivati i due Doors superstiti, il tastierista Ray Manzarek e il chitarrista Robby Krieger (per la verità ce ne sarebbe un terzo, ma ha litigato), quindi li hanno clamorosamente mancati. Pazienza, la giornataè stata bella lo stesso e la gloria di Morrison resta intatta. Ma perché? «Perché noi ci ritroviamo nelle sue canzoni, adesso e sempre», fine. Anzi, no. Come se, per spiegare la morte di Morrison, non bastasse la vita che faceva, abbiamo dimenticato il complotto per ucciderlo. Allora, chi è stato: la solita Cia, gli abituali fascisti, i consueti generali guerrafondai? Risponde il poeta: «Sono tutte caz...!».