Chiara Mariani, Corriere della Sera 3/7/2011, 3 luglio 2011
LA FOTO DA 4 MILIONI DI DOLLARI
Quasi 4 milioni di dollari (3.89 milioni, per la precisione) per una fotografia. La più cara della storia. È stata battuta all’asta da Christie’s a maggio di quest’anno e ha superato il record del tedesco Andreas Gursky che sei anni fa si portò a casa 3.35 milioni di dollari per un singolo scatto. L’autrice dell’immagine milionaria da trent’anni fotografa se stessa e così facendo realizza sconcertanti autoritratti della società contemporanea piazzandosi già negli anni 90 tra gli artisti più influenti al mondo. Cindy Sherman, nata nel New Jersey nel 1954, dalla fine degli anni 70 ha accumulato più di 500 autoscatti che, con stile di volta in volta grottesco, ironico, realista, evocativo, mettono a nudo abitudini, debolezze, vizi e paure del mondo che la circonda. La fotografia miliardaria, Senza titolo #96 (1981), rappresenta una teen ager sdraiata per terra che tiene tra le mani un annuncio di giornale per single. In questo caso la ragazza Sherman, innocente e seducente, ansiosa di mettere fine alla sua solitudine con un incontro programmato voleva alludere alle doppie pagine poste al centro dei giornali pornografici di quegli anni definiti Centerfold, come la serie a cui appartiene la fortunata fotografia. Ironia della sorte, la rivista Art Forum che l’aveva commissionata e pagata la rifiutò e non la pubblicò mai. Tutto comincia al college o forse prima, tra le mura di casa dove da bambina per sfuggire alla solitudine a cui la condannano quattro fratelli troppo più grandi di lei si inventa trame, personaggi e travestimenti che la sottraggono alla noia. Più tardi alla State University di Buffalo, dove studia arte, quel vezzo le viene in soccorso: il desiderio di inventare qualcosa di unico è forte e il disegno e la pittura, materie in cui eccelle, non le suggeriscono nulla di nuovo. Bocciata al primo esame di fotografia insiste e rivolge l’obiettivo verso l’unica materia prima veramente originale e proteiforme che conosce perfettamente: se stessa. D’altra parte l’abitudine al travestimento non l’ha mai abbandonata e nei momenti di sconforto la camera del college si trasforma in un camerino dove pochi stracci e l’adorato make-up, condannato dalle femministe del tempo, colmano il senso di vuoto e di sconforto che nasce da un’autostima vacillante. Il suo boyfriend di allora le consiglia di rendere produttivo questo immane gioco che nasconde il tentativo di piacersi e di piacere. È di quegli anni la serie nota come Film Stills, in questi giorni esposto a Madrid in occasione di Photo Espana, un titolo convenzionale per indicare gli autoscatti in cui riproduce i personaggi dei telefilm polizieschi del periodo: la cameriera, il detective, l’attrice-sognatrice, il reporter e via dicendo... titoli nati dalla necessità delle gallerie e degli estimatori di schematizzare il suo lavoro perché lei, Cindy Sherman, in realtà identifica ogni autoscatto con un semplice numero, sottolineando persino l’assenza di un titolo, per evitare che una forma di riconoscimento meno vaga possa appiattire le ambiguità del suo lavoro e possa inibire le suggestioni che spera di suscitare. Il Moma di New York, che nel 1991 acquistò la serie Film Stills per un milione di dollari, è già alle prese con la laboriosa organizzazione della retrospettiva (170 opere) che inaugurerà il prossimo febbraio. La carrellata micidiale di ritratti che incomberanno sui muri del museo è destinata a far parlare di sé. Infatti, dopo le prime serie quasi ludiche dedicate ai b-movie e agli avventizi degli autobus (anni 70-80), i suoi autoscatti assumono man mano connotati grotteschi, distorti, ripugnanti, perversi. Sembra che la rappresentazione delle donne e di come la società percepisce le donne non possa prescindere da toni sempre più cupi e inquietanti. Dagli anni del college si susseguono molte serie tra cui i Fairy Tales in cui introduce l’uso delle protesi che alludono al mondo dei giochi ma anche della medicina; Sex Pictures dove usa anche bambole da sexy shop assemblate in modo provocante; gli History Portraits, parodie post-moderne di 35 capolavori dell’arte dove ora è Bacco del Caravaggio (Senza titolo #224), Marie Antoinette (#193) o Giuditta con la testa di Oloferne (#228), la Fornarina di Raffaello (#205) che le regalano una fama planetaria. È il periodo in cui vive a Roma con il marito, ora ex, Michel Auder, film-maker francese a cui rimane legata per 15 anni. Dopo l’ 11 settembre si immerge nel mondo del circo e ne riemerge irriconoscibile nei panni dei clown dai connotati alterati da un trucco soffocante: reagire alla catastrofe con il buon umore è d’obbligo. Un’avventura artistica più recente comprende autoscatti a grandezza naturale di donne dell’alta società alle prese con l’età che avanza e l’erosione della bellezza. Il trucco è impietoso, come lo scorrere implacabile del tempo e in questa rappresentazione iper-realista, ricchissima di dettagli minuti, si coglie l’empatia verso queste donne fragili, curate e belle da troppo tempo. Il suo contributo alle arti visive è grande se si pensa alla quantità di artisti che si sono ispirati al suo esempio e hanno riempito le gallerie con ciò che in gergo si chiama la set-up photography, in cui uno scenario complesso ed enigmatico è abilmente costruito e poi fotografato. Fuori dagli scatti Cindy Sherman è una donna sottile, elegante, semplice, persino timida, amante della box fino a praticarla. Ultimamente era bionda, ma sul colore dei suoi capelli nessuno è disposto a giurare. L’amore della sua vita, ammette candidamente nelle rare e brevi interviste che le gallerie la costringono a rilasciare in occasione di mostre particolarmente importanti, è l’ultimo: David Byrne, il musicista, compositore e fondatore dei Talking Heads. La serie delle signore renitenti al tempo che fugge è germogliata durante la storia e poco prima del suo epilogo. E gli sguardi penetranti e consapevoli delle donne un po’ grottesche e appassite che incombono sulle pareti tradiscono, più di altre maschere interpretate in precedenza, un’amara nota autobiografica della regina dello scatto che finalmente la rende una di noi.