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 2011  luglio 03 Domenica calendario

CONTRO LA LETTERATURA DEI TESTIMONI

Gli equivoci della non-fiction. Arturo Mazzarella, docente di Letterature comparate a Roma e autore, tra l’altro, di un saggio sulla letteratura dopo la rivoluzione digitale, nel suo nuovo libro (Politiche dell’irrealtà. Scritture e visione tra Gomorra e Abu Ghraib), ha qualcosa da dire sullo scrittore-testimone, o meglio sul narratore che decide di mettere in secondo piano la sua funzione creativa per presentarsi come testimone allo stato puro. Mette in discussione, insomma, buona parte della narrativa italiana d’oggi, che punta tutte le sue carte sulla realtà. Una questione di capitale importanza per la letteratura d’oggi, per cui non a caso si è evocata la categoria del neo-neorealismo. Primo obiettivo polemico, ovvio, Roberto Saviano e il suo proporsi sulla scena letteraria come testimone d’eccezione del mondo camorristico. Mazzarella non dice se Gomorra gli piace, ma pare non troppo. Quel che lo disturba è l’enfatizzazione del piano cronistico-testimoniale e l’oscuramento della dimensione letteraria, inventiva, e non esita a soffermarsi sulle ambiguità che ne nascono. Ecco gli equivoci della non-fiction. «Proporsi come testimone assoluto e privilegiato— dice Mazzarella— è un modo semplicistico di considerare la realtà. L’incontestabile primato attribuito all’evidenza sensibile, per cui è reale solo quel che vedono i miei occhi, è un impoverimento. Tutta la grande letteratura considera la realtà come trama di combinazioni, di nessi tra eventi, non è una levigata superficie su cui scorrono i fatti, come la intende Saviano» . È vero che l’autore di Gomorra ha, volente o nolente, costruito la propria «consacrazione eroica» (come la chiama Mazzarella) sul valore della testimonianza diretta: le sue dichiarazioni, dai saggi di autocommento ai monologhi di Vieni via con me, insistono su questo aspetto. Eppure persino il padre della cosiddetta non-fiction novel, Truman Capote, manifestò dubbi sulla neutralità del proprio realismo, intravedendo piuttosto nella «realtà riflessa» l’essenza della realtà stessa. Su questa via, Mazzarella arriva ad affermare che «è proprio lo schermo della raffigurazione, della manipolazione narrativa, a garantire la verità del racconto» . Su Gomorra pesa per di più, secondo lui, una prospettiva narrativa poco attendibile: «Il protagonista Saviano — spiega — deve continuamente fare ricorso a degli escamotage non sempre credibili per farsi trovare, con regolarità sorprendente, là dove accadono i funesti rituali della camorra. Viene chiamato al telefono anche di notte, ma non si capisce a che titolo, e solo così diventa ubiquo. Uno spettatore che, per assolvere fino in fondo il suo compito, si converte in attore costituisce un’ambiguità stridente. Il cronista della realtà si affida all’unico potere che effettivamente riconosca: la denuncia, che poi diventerà il Leitmotiv del suo programma televisivo» . La denuncia non dovrebbe essere la prima preoccupazione della letteratura: «Saviano è ossessionato dalle prove: capovolge la famosa frase di Pasolini "Io so, ma non ho le prove" in "Io so e ho le prove": ridurre la letteratura alla testimonianza sensibile è il massimo impoverimento della realtà e della letteratura. Lo scrittore non ha bisogno di prove: per questo ci sono i giudici, i giornalisti, gli storici. Persino l’illuminista Sciascia, ne Il caso Majorana e nell’Affaire Moro, capisce che i lumi della ragione devono far parlare l’oscurità degli eventi». Quel che importa a Sciascia è trasformare ogni certezza in ipotesi: non i fatti ma i fantasmi dei fatti, le ambiguità e le possibilità che si nascondono dietro gli eventi. Un altro esempio a contrasto proposto da Mazzarella è il romanzo autobiografico di James Ellroy, I miei luoghi oscuri. Dove il ricordo della madre morta ammazzata quando il figlio aveva dieci anni produce trame sotterranee e associazioni fantasmatiche senza accontentarsi del paradigma giudiziario. «L’inefficacia del realismo integrale era ben nota già a Novalis e a Leopardi, che scrive "io nel pensier mi fingo": la letteratura è finzione ed è la finzione che permette di scavare al di là della realtà apparente. Questo dovrebbero impararlo non solo Saviano, ma i tanti scrittori italiani di resoconti, sempre compiaciuti, di reportage e di ricostruzioni storiche» . Mazzarella accenna alla schiera di adepti della non-fiction italiana, «che si fermano al noto» , e che cedono sotto il «peso ricattatorio della cronaca» . «Le pretenziose indagini di Carlo Lucarelli nel cuore degli innumerevoli misteri italiani sono l’esempio più infelice: Lucarelli non si decide a scegliere e ci propone i casi giudiziari quasi fossero la realtà che parla, come se non volesse prendere atto che uno scrittore deve avere il coraggio di scavare nella realtà per rielaborarla. Un caso recente molto felice è quello di un esordiente, Paolo Sortino, che in Elisabeth racconta il caso Fritzl reinventando quella terribile storia austriaca. Ecco, oggi bisogna scegliere tra Sortino e Saviano e chiedere brutalmente agli scrittori: tu da che parte stai? La letteratura fa diventare ogni evento, anche il più banale, un evento fantasmatico» . C’è il sospetto che Mazzarella non ami il reportage giornalistico: «Non è vero, c’è stata una grande stagione del reportage, ma appunto è cronaca, giornalismo. La letteratura richiede una finzione, che è tutt’altro che mistificazione: nel suo significato etimologico equivale a modellare, plasmare, forgiare una materia che è la realtà. Altro che evasione» . La finzione passa per lo stile? «Per molti scrittori lo stile è una forma di autoreferenzialità, perché aspirano all’immediatezza, ma l’idea che la realtà sia accessibile senza la mediazione dello stile e dell’immagine è un equivoco» . L’obiettivo «superiore» di Mazzarella in definitiva è la demonizzazione corrente dell’immagine. Per questo, nella seconda parte del suo libro si concentra sui «dispositivi tecnologici entrati da tempo nel bagaglio dell’esperienza collettiva» : «Una mutazione che spiazza qualsiasi progetto di nuovo "realismo", qualsiasi ipotesi di non fiction-novel» . L’esperienza ordinaria, diretta, è ampiamente superata dall’esperienza proposta dai media, che presenta una «pluralità di campi di oggetti e di soggetti» e come tale riesce a prolungare e a potenziare la sensibilità fisica, rendendo banale e parziale il campo visivo del testimone oculare. «Le celebri fotografie di Abu Ghraib e le video esecuzioni degli integralisti islamici mettono a nudo l’arretratezza del realismo in letteratura, perché in quelle immagini la realtà diventa spettacolo osceno e insensato: sono immagini che producono una realtà teatralizzata, mettendo in primo piano la costruzione di un set. Per la prima volta, la teatralizzazione dell’evento viene prima dell’evento stesso. Se non fossero andate in rete quelle immagini, le video esecuzioni non ci sarebbero state» . E gli appelli di Susan Sontag al pudore contro l’estetizzazione del dolore diffuso dalle fotografie di Abu Ghraib? «Nobile moralismo, superato dagli eventi. La realtà stessa coincide con una interminabile sequenza di immagini».