Alessandro Cannavò, Corriere della Sera 2/7/2011, 2 luglio 2011
NUOTO, MASSAGGI E CORSE IN CITTÀ COME DIVENTARE UN MARATONETA
Nella piazza del Palazzo, la facciata barocca dell’Ermitage realizzata da Rastrelli e il sontuoso arco di Rossi, due degli architetti italiani che hanno creato San Pietroburgo per volere di Pietro il Grande e degli altri Romanov, sono una quinta teatrale fin troppo sontuosa per il mio piccolo trionfo personale: domenica scorsa ho concluso lì la maratona (42 chilometri, 195 metri) in 3 ore 49 minuti e 12 secondi: il mio obiettivo era di rientrare nelle quattro ore e ci sono riuscito con un comodo margine. L’altra piccola soddisfazione è legata all’età: l’ultima maratona l’avevo corsa a 39 anni, ora sto per compierne 50 e la sfida è nata nell’ambito delle «celebrazioni» di questo traguardo anagrafico. Chi dice che molti scoprono la corsa di resistenza nella maturità per combattere la depressione probabilmente non ha torto. Certe scelte possono nascondere malesseri non conclamati. Ma è anche vero che chi ha deciso di indossare un paio di scarpette e ha cominciato a macinare chilometri vi parlerà di una sensazione di benessere (dopo la corsa e dopo la doccia) difficilmente eguagliabile con altre attività sportive (e questo al netto delle tendiniti sempre in agguato). Correre una maratona a 50 anni non è un’impresa da annali (sui percorsi delle competizioni si incontrano agguerriti settantenni che non mollano neppure se gambizzati) ma è sempre un momento di verifica delle proprie capacità fisiche e soprattutto della tenuta psicologica. Per affrontare la fatica e domarla. Difficile trovare ventenni che decidono di fare una corsa del genere (probabilmente si stufano); occorre, insieme alle gambe, ben più di un pizzico di saggezza che acquisti con l’età e l’esperienza. Insomma, anche on the road puoi capire se sei diventato grande. All’inizio dell’anno ho parlato della maratona in palestra al mio istruttore. Il quale mi ha fatto intensificare una serie di esercizi da eseguire su tavolette basculanti con l’intento di rafforzare le articolazioni: anche, ginocchia, caviglie. Nel corso dell’inverno alla seduta con gli attrezzi ne ho aggiunta una di corsa e una di nuoto (mai più di un’ora di allenamento per volta). Poi con l’arrivo della primavera, a tre mesi dalla gara, ho cominciato a correre all’aperto: tre volte durante la settimana più una gara la domenica. In Italia ci sono podistiche non competitive ovunque, in ogni giorno festivo del calendario e di qualsiasi distanza: sono un modo meno noioso di allenarsi, stando insieme ad altri corridori e scoprendo nuovi percorsi. Spesso in cambio di pochi euro di iscrizione si torna a casa con latte, biscotti, succhi di frutta o salamini, omaggi degli sponsor locali. Io mi sono anche regalato un test in un centro sportivo specializzato per capire come sfruttare al meglio le mie potenzialità. Ho scoperto che nell’attività atletica ho sviluppato eccessivamente la soglia anaerobica bruciando meno del necessario i grassi e intaccando gli zuccheri: un continuo stare «al limite» . Ma il test mi è servito anche per regolare l’alimentazione: gli spuntini a metà mattinata e nel pomeriggio, a me sconosciuti, mi hanno aiutato a giungere ai pasti (proteine e carboidrati dosati ma sempre presenti) con la fame giusta. L’istruttore della palestra è stato categorico per la preparazione: frena la tua andatura e metti su chilometri nelle gambe. Sono cominciati così lunghi percorsi in solitudine (condizione che appartiene al maratoneta) ma in compagnia della radio e della musica. Ho (ri) scoperto molte zone della mia città, godendo dei parchi spesso poco sfruttati e imparando anche a convivere con le insidie e i fumi del traffico: è il prezzo da pagare per il senso di libertà che dà la corsa. Ma ecco che i tendini (soprattutto quelli d’Achille), messi sotto pressione anche dalla muscolatura che si stava modificando, hanno cominciato a far male. Un dolore sopportabile mentre mi allenavo ma che a freddo mi costringeva certi giorni a zoppicare. Sono i momenti in cui un buon osteopata o un massaggiatore ti può dare un aiuto concreto. «Lo sport fa male» , diceva il mio, ironizzando mentre metteva alla prova con trattamenti energici la mia soglia di dolore. Aggiungendo però un frase di speranza: «Continua a correre, pian piano tutto passerà» . E così è stato, anche perché andando avanti ho dato sempre meno importanza a questi inconvenienti. Ho macinato tanti chilometri, per tre volte ho provato a correrne 30, una volta ne ho fatti addirittura 38 per varcare quella soglia psicologica nella quale si annida la crisi del 35esimo chilometro. Insomma, sono arrivato a San Pietroburgo con la coscienza a posto. Ma il giorno della gara, si sa, il copione può essere riscritto a tuo sfavore: basta una notte insonne, un problemino intestinale, un’andatura a ritmi troppo elevati. È stata una maratona spartana: appena 1.200 partecipanti, assenza di sponsor che ormai spadroneggiano con proclami, striscioni e videoclip in ogni competizione internazionale, indicazioni della distanza scarne (un cartello ogni cinque chilometri), rifornimenti essenziali (acqua e sale, niente bibite energetiche). In cambio, un tempo ideale (cielo coperto e 18 gradi), un percorso piatto che invitava a prestazioni da record, uno scenario incantevole tra la Neva e i suoi canali, i palazzi barocchi, i boschi di betulle. E pazienza per qualche strada periferica con gli spettrali casermoni in stile sovietico e gli sparuti incoraggiamenti degli abitanti. Per me è stata una maratona da manuale: ho rallentato a ogni rifornimento per bere anche quando non ne sentivo la necessità (la «benzina» della corsa può finire improvvisamente), ho mantenuto un’andatura costante, ho evitato la tanto temuta crisi del 35 ° riuscendo a gestire solo un breve calo di ritmo fino al 38 ° chilometro, ho terminato in progressione: soprattutto non ho mai perso per tutta la gara la voglia di correre. Alla fine ero certamente molto stanco ma non sofferente o, come ha detto un compagno della mia comitiva che provava le stesse sensazioni, «di una sofferenza gioiosa» . Prima della gara avevo giurato: «Questa sarà la mia ultima maratona» . Ma il giorno dopo, a gambe riposate seppur ancora indolenzite, nel gruppo si parla degli appuntamenti autunnali. Spunta, naturalmente, il nome di New York, dove avevo fatto il mio battesimo sulla distanza, nel 1990. Confesso, mi è venuta voglia di tornare sul luogo del «delitto» .