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 2011  luglio 03 Domenica calendario

I DRONI DI OBAMA

(due articoli)
Dopo aver concentrato gli sforzi anti-ter­rorismo in Iraq, Afghanistan e Pakistan per un decennio, gli Stati Uniti ricali­brano la strategia contro al-Qaeda. Al centro del­l’attenzione del Pentagono sono emersi Yemen e Somalia, i cui deboli governi hanno permesso a gruppi estremisti di crescere indisturbati. Ma di fronte a un’opinione pubblica sempre più o­stile a rischiare la vita di soldati Usa in terre lon­tane, l’Amministrazione americana ha deciso di affidare un numero crescente di missioni a dro­ni telecomandati. I sofisticati velivoli sono la risposta più ovvia ai costi umani delle guerre condotte da Washing­ton dal 2001 a oggi che uno studio recente del­la Brown University stima in 225.000. Di questi i soldati uccisi sono 31.741. E se ogni militare ca­duto in battaglia ha enormi ripercussioni poli­tiche in patria, ogni vittima civile si traduce in un alto costo di credibilità per gli Stati Uniti al­l’estero. Il Pentagono ha dunque intensificato gli attacchi condotti dai costosi droni, abba­stanza veloci e flessibili da identificare gli obiet­tivi dall’alto con precisione, che offrono il van­taggio di non esporre i militari al fuoco nemico. Oltre a usarli direttamente, gli Stati Uniti stanno armando anche i Paesi impegnati in lotte con­tro gruppi di estremisti, come l’Uganda e il Bu­rundi, schierati militarmente in Somalia.
Nel Paese africano, i droni vengono usati in par­ticolare per rintracciare i movimenti dei com­battenti del movimento estremista al-Shabaab, affiliato ad al-Qaeda. Questa settimana infatti gli Stati Uniti hanno sferrato il loro primo attac­co diretto in Somalia con un drone, ferendo due leader degli shabaab.
La strategia risponde alla convinzione dell’in­telligence Usa che alcuni capi del gruppo isla­mico del Paese africano stiano collaborando più da vicino con al-Qaeda per colpire obiettivi e­sterni alla Somalia e che sia necessario interve­nire al più presto. «Di recente hanno assunto un atteggiamento di maggior sfida e per questo mo­tivo noi ci stiamo impegnando di più per bloc­care le loro attività», ha spiegato un ufficiale del­la Difesa statunitense.

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È passato oltre un decennio dal primo uso sistematico degli aerei senza pilota in battaglia. Durante l’operazione Allied Force (Kosovo), le immagini video tra­smesse dai Predator giungevano in Italia attraverso collegamenti ad hoc: a bordo dei loro caccia A-10 o F-16, i controllori aerei avanzati (Forward Air Controller) ricevevano in tempo reale le coordinate geo­grafiche degli obiettivi da bombar­dare.
Di più: avevano una fotografia e u­na stima quasi immediata dei dan­ni causati (Battle Damage Asses­sment- Bda). Dotati di sistemi in­telligence (Loce o Centrix), gli Uav (Unmanned aerial vehicle, veicolo aereo senza equipaggio) hanno tro­vato largo impiego anche in Afgha­nistan, in Iraq e nei teatri successi­vi: dal Pakistan allo Yemen, dalla Li­bia alla Somalia. Possono scoprire, sorvegliare e uccidere. Pattugliano aree urbane, monitorano i confini territoriali, sorvegliano assembra­menti, manifestazioni pubbliche e attività terroristiche sospette. Ope­rano in tutti i teatri in cui siano pro­tagonisti gli Stati Uniti. L’Aeronauti­ca a stelle e strisce dispone di una flotta di 17 Global Hawk, di 125 Pre­dator e di 45 Reaper, dal carico bel­lico micidiale, tra missili Hellfire e bombe a guida laser. In teatro ne so­no operativi un centinaio: 82 Preda­tor e 26 Reaper. Oltre 400 sono i pi­loti. Senza contare i mezzi della Cia, che allinea una trentina di Uav cir­ca, dall’attività molto discreta.
Similmente all’Agenzia centrale d’intelligence, che gestiva i Reaper e i Predator dalle basi aeree segrete di Shamsi, in Baluchistan, e Jalalabad, in Afghanistan, il Jsoc ( Joint Special Operations Command, il comando congiunto delle operazioni specia­li) ha un programma meno noto di attacchi dal cielo. I suoi droni de­collano da Karachi nel Sud, sorvola­no le aree tribali pachistane e colpi­scono gli obiettivi sensibili con mis­sili Hellfire e bombe a guida laser, spesso caricate dai “contractor” del­la tristemente nota società Blackwa­ter.
La Holding della difesa americana­si è dotata fin dal 2006 di una divi­sione specifica per l’addestramento, la costruzione e l’impiego di velivo­li a pilotaggio remoto: la BW Airship LCC, divenuta col tempo Guardian Flight Systems.
Non è ben chiaro se quest’unità sia stata autorizzata a sparare in teatro, ma è certo che piloti alcuni droni e ne pianifichi le missioni, rivelatesi preziose. Dal 2006 ad oggi, gli aerei senza pilota hanno permesso di eli­minare oltre 1.200 nemici, fra leader taleban, vertici qaedisti e affiliati ad altri gruppi estremisti e d’insorti. Le ore di volo sono cresciute in manie­ra esponenziale: dalle 50mila nel 2006 fino ad essere ora più che tri­plicate.
Delle decine di attacchi in Pakistan, il 60,3% si è concentrato nel Wazi­ristan settentrionale e il 32,4% in quello meridionale. Perfino le Na­zioni Unite, tramite Philip Alston, hanno ammesso la legittimità degli interventi aerei, pur vincolandoli al teatro afghano-pachistano.
In questi giorni ci sono almeno trenta Uav che incrociano nei cieli afghani e pachistani, ma il numero è destinato a crescere, diminuendo progressivamente le truppe terre­stri.
Il governo di Islamabad ha chiesto a­gli americani di lasciare Shamsi, pro­babilmente già evacuata, ma è ve­rosimile che personale statuniten­se operi in altre due basi aeree: una vicina a Ghazi e un’altra prossima a Jacocobad. Gli attacchi non risparmia­no neanche i miliziani somali. Dalla ba­se di Camp Lemonnier decollano i due Reaper schierati dall’Ussocom a Gibu­ti. Le telecamere e i sensori del Reaper possono tenere sotto controllo una su­perficie di 6 chilometri quadrati, che sa­lirà presto a 20. Inviano alle truppe a ter­ra 30 video simultanei e separati e, quando occorra, sparano. Nelle prossi­me settimane dispiegamenti sono pre­visti anche nei territori, relativamente vicini, di Uganda e Burundi: quattro droni non armati, saranno coordinati ai velivoli che colpiscono in Somalia le zo­ne controllate dai filo-qaedisti di al-Sha­baab.
Secondo il Washington Post, i droni del­la Cia rafforzeranno anche la decina di velivoli operati in Yemen, mentre in Li­bia, sono permanentemente in volo due Predator. Ne sono stati schierati due squadroni a Sigonella, per un totale di 8 velivoli. Un tempo l’Aviazione statu­nitense ricorreva a piloti di caccia e car­go, li formava e li destinava alla guida de­gli Uav. Oggi ha aperto una scuola ad hoc: vi af­fluiscono aspiranti piloti mai saliti su un caccia, segno dell’incremento della ri­chiesta di equipaggi e interventi.