meo ponte, la Repubblica 4/7/2011, 4 luglio 2011
I BLACK BLOC ARMATI VENUTI DA LONTANO - I
primi due appaiono sul costone che fronteggia il museo archeologico, cuore del cantiere della LTF, quando mancano pochi minuti a mezzogiorno. Sono vestiti di nero, hanno il volto mascherato da sciarpe.
Respirano attraverso maschere antigas a doppio filtro, più efficaci di quelle di polizia e carabinieri. Sono armati di fionde antiche, come quella del biblico Davide riesumata dall´Intifada, ma di sorprendente gittata. Pochi minuti dopo sono centinaia. Si proteggono con caschi da muratori o da motociclista e con corazze da motocrossisti. La loro comparsa è annunciata dal gracchiare delle radio dei carabinieri dei Cacciatori di Sardegna che pattugliano i boschi e hanno trovato decine di depositi di armi improprie celati tra gli alberi. «Ci sono i black bloc» avverte la centrale. Calano dalla montagna, molti hanno passato la notte a Ramats e ora scendono di corsa i sentieri tra gli alberi verso il sito archeologico. Non hanno intenzione di assediare il cantiere della Maddalena, vogliono forzare la recinzione del cantiere (800 metri di filo spinato e muretti New Jersey) e soprattutto vogliono andare allo scontro con le forze dell´ordine.
La Digos cerca di farne una stima a braccio: c´è un nucleo duro di 800 appartenenti all´area anarco-insurrezionalisti, almeno 300 sono invece gli stranieri, in gran parte spagnoli fiancheggiati da tedeschi, austriaci e francesi. In tutto un migliaio di guerrieri metropolitani che ora arrivano dal bosco a cento metri dalla recinzione del cantiere, seppelliscono i 900 tra carabinieri, polizia e guardia di finanza che presidiano il perimetro sotto una pioggia di biglie, tondini di ferro, pietre. Lanciano anche bottiglie piene di ammoniaca e bombe carta imbottite di bulloni. Colpiscono e si ritirano nei boschi, secondo una tattica studiata con cura, perché tra gli alberi i plotoni antisommossa non riescono a seguirli.
Sono i discendenti degli Autonomen tedeschi che negli anni di piombo manifestavano a favore della Raf e degli anarchici di Seattle ‘99, gli stessi che due anni dopo devastarono la Genova del G8. «Non necessariamente debbono vestirsi di nero, black bloc è un modo di agire e di pensare» spiega Giuseppe Petronzi, dirigente della Digos, specializzatosi nell´analisi di questi gruppi. Hanno portato gli schemi della guerriglia urbana nei boschi, sono spalleggiati da centinaia di anarchici e autonomi dei centri sociali più violenti. Contro i carabinieri urlano uno slogan già sentito: «10, 100, 1000 Nassiyria». In tutto il pomeriggio, con i loro ripetuti assalti, riescono a ferire 188 tra carabinieri, poliziotti e finanzieri, alcuni dei quali gravemente. Catturano anche un carabiniere rimasto isolato dopo una carica e lo derubano della pistola che sarà recuperata qualche ora dopo.
Le forze dell´ordine riescono a bloccarne cinque: il primo è un ragazzo di Pescara, gravita nei centri sociali abruzzesi, è ferito al volto e non c´è la fatta a ritirarsi tra gli alberi. Viene curato e indagato a piede libero per lesioni, resistenza a pubblico ufficiale. Gli altri quattro sono un meccanico di Maranello, un disoccupato di Venezia, un fattorino di Modena e una studente di Parma che milita in un collettivo universitario. Per loro c´è l´arresto, sono stati presi mentre lanciavano biglie e pietre contro i plotoni. Per evitare gli agguati dei loro compagni la polizia li porta al commissariato di Bardonecchia a bordo di un´ambulanza. «Non c´entrano nulla con la Val Susa» chiosa un agente guardandoli sfilare in manette.
Presenze che sono il frutto degli appelli lanciati nei giorni dai diversi siti No-Tav, in gran parte gestiti da militanti dei centri sociali come Askatasuna, la più importante formazione autonoma di Torino. «Sono riusciti a richiamare in Val di Susa le frangie più violente d´Europa», ammettono carabinieri e polizia.