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 2011  luglio 04 Lunedì calendario

VIA DONNE E BAMBINI SCATENATE L´INFERNO"

Si combatte nel bosco, per ore, come nei film di guerra. Attacchi improvvisi, a ondate. Quelli con i caschi neri e le maschere antigas vanno all´assalto per poi ritirarsi alla svelta, tra gli alberi, e ricominciare daccapo. Una strategia chirurgica, paramilitare.
Poliziotti e carabinieri reggono l´assedio presidiando il ponte di Ramats, dietro la centrale elettrica. Sparano acqua con i cannoncini e tirano lacrimogeni. Le ruspe gialle del cantiere, immobili, sembrano giocattoli. C´è sangue, gente che urla. C´è puzza di marcio. I gas fanno piangere e vomitare.
«Io volevo andare alla manifestazione istituzionale, il corteo più tranquillo. Ma quando ho visto i poliziotti che sparavano lacrimogeni ad altezza d´uomo, ho scelto la centrale e la battaglia». Giorgio è quello con il cappellino beige e lo zaino. Non è un terrorista, ma non era venuto qui per una scampagnata. A un certo punto, ha tirato sassi pure lui. «Gli agenti hanno usato il gas CS, quella è un´arma chimica vietata persino in guerra, che vergogna». Mostra la capsula grigia e arancione, appena raccolta. Ma dall´altra parte, a sera, i feriti saranno oltre duecento. E poteva scapparci il morto.
«Quando è arrivato Beppe Grillo, e ha parlato di eroi e guerra civile, ci siamo sentiti davvero grandi». Forse Giorgio c´è cascato, e Grillo avrebbe fatto meglio a tacere. Da quel momento, la battaglia di Ramats non è stata più una specie di Risiko campagnolo, ma una faccenda terribilmente seria. «Io non ho niente a che fare con i centri sociali, studio scienze politiche a Torino. Tra quelli con le mazze e i caschi, c´era gente che parlava inglese e spagnolo».
I boschi di Chiomonte sono un luogo aspro e selvaggio di roccia e strapiombi, un paesaggio a tratti lucente, di un verde smeraldo acceso, e poi d´improvviso cupo. Gli assedianti lo hanno occupato di notte, piazzando tende e preparando la loro guerriglia. La centrale idroelettrica è in una conca pianeggiante, poco sotto, con la montagna che spinge pochi metri più indietro. La strada scende verso Ramats e diventa un imbuto davanti al piccolo ponte, dove i poliziotti hanno fatto muro. E dal bosco è cominciata la pioggia di pietre.
«Le abbiamo raccolte sui sentieri, mettendole nei sacchetti di plastica. E abbiamo risposto al lancio dei lacrimogeni: sono stati loro a cominciare. Alcuni di noi sono stati colpiti in faccia, un ragazzo aveva la coscia squarciata». Agli agenti è andata peggio. I feriti vengono portati via a braccia dai colleghi in uniforme, prima si deve togliere l´elmo per farli respirare. Invece, sulla strada che risale al paese sono trasportati i feriti degli antagonisti, applauditi dalla gente. Una scena surreale: sotto i tornanti, nella valletta della centrale elettrica, si combatte, e poco più sopra si guarda, si scattano foto con i cellulari, si risale verso la salvezza. Bisogna scappare dalla nuvola dei gas, limoni in bocca e Maalox, e fazzoletti sul viso. «Portate via le donne e i bambini, qui sarà un inferno!» urla qualcuno, prima che il combattimento s´inasprisca. È l´una del pomeriggio. Ci sono anche bimbi piccoli sui passeggini e nei marsupi, e anziani col bastone che arrancano in salita. «Eravamo venuti in pace, solo per difendere la valle e le nostre idee, questo è il quinto referendum», dice Giorgio. «Ma c´è un momento in cui bisogna reagire».
È stata una guerriglia di quattro ore, non proprio una gita sui sentieri. Duemila antagonisti, trecento in assetto militare, compresi i black bloc, contro duemila poliziotti e carabinieri. E 50 mila persone più che tranquille, a poche centinaia di metri, famiglie e valligiani che non intendono convivere con il supertreno, con i suoi devastanti cantieri. Però, i violenti li hanno cancellati, impedendo che si parlasse soprattutto di loro. Il fronte "No-Tav", adesso, rischia di passare dalla parte del torto.
E se Giorgio dice di essersi limitato a qualche sasso, più per rabbia che per strategia, molti tra quelli che hanno combattuto al suo fianco si sono comportati come ultras della peggior specie. Avevano mazze, bastoni, fionde, caschi, bombe carta, tenaglie per svellere le recinzioni del cantiere e ci sono quasi riusciti, poi però li hanno respinti. Avevano biglie di ferro e bottiglie di ammoniaca. «Ma i poliziotti ci hanno tirato contro i lacrimogeni, prima a parabola, poi direttamente. E molti di noi hanno visto proiettili di gomma». Circostanza, questa, smentita dalla questura («Non li abbiamo in dotazione»), anche se resta da chiarire la presenza del gas CS.
Il cuore della battaglia ha pulsato lungamente tra gli alberi, dove i feriti tra gli antagonisti sono stati medicati davanti alla baita della Maddalena, a ridosso del cantiere che riaprirà stamattina. I "Cacciatori di Sardegna", corpo scelto dei carabinieri, hanno agito proprio nella boscaglia sostenendo gli assalti a singhiozzo. Il recinto, però, ha tenuto. Fino a notte, il cielo è stato tagliato dalle traiettorie degli elicotteri. Lungo la statale 24, dal Monginevro a Susa, le ambulanze non si sono mai fermate. A un certo punto, sono scoppiati due incendi. Poi la gente è scappata verso l´alto, verso l´aria fresca. Una vecchia, nell´ultima casa prima del bosco, ha chiuso la cancellata con il filo di ferro, una matassina da niente. L´ha attorcigliata con le tenaglie, sicura che bastasse.