Mirko Molteni, Libero 3/7/2011, 3 luglio 2011
L’ARABIA CACCIA UN MILIONE DI IMMIGRATI INDONESIANI
Si approfondisce il solco fra due giganti dell’Islam, l’Arabia Saudita e l’Indonesia, ai ferri corti per il controverso caso di una cameriera indonesiana immigrata condannata a morte per omicidio e decapitata dalla draconiana giustizia saudita. Da ieri il governo di Riad non concede più visti ai lavoratori indonesiani, ponendo le premesse perla “cacciata” di 1,5 milioni di immigrati, che danno però un contributo insostituibile all’economia saudita, oltre a mandare in patria 2000 miliardi di rupie all’anno in rimesse.
La decisione arriva come ritorsione a un vero “embargo” sugli espatri che l’Indonesia ha proclamato il 24 giugno, con effetto dal 1° agosto. Giakarta pensa inoltre di richiamare gran parte degli immigrati già presenti in Arabia, ritenendo a rischio la loro sicurezza. Tutto, dopo che il 18 giugno è stata decapitata la 54enne Ruyati Binti Satubi Saruna, accusata di aver ucciso il suo padrone saudita, in un contesto però segnato da maltrattamenti e abusi sulla colf. Il caso ha scosso il popolo indonesiano, sceso in piazza a manifestare contro Riad, mentre anche il presidente Yudhoyono ha accusato i sauditi di «aver violato gli standard internazionali», non informando la madrepatria sul processo, definito «una farsa» dalla figlia della donna, Een Nuraini.
Il botta e risposta fra i due Paesi non pare però un muro di gomma. Scopo di Giakarta è costringere i sauditi ad assicurare un trattamento migliore ai suoi emigrati, sapendo che è l’Arabia ad aver più da perdere, tanto che il ministro indonesiano per le Risorse Umane, Iskandar, dice: «Hanno bisogno dei nostri lavoratori, per cui non siamo preoccupati per la decisione di bandirli». La mossa di ieri, pare dunque avventata per l’Arabia, dove il 30% della popolazione è formato da immigrati da Indonesia e altri Paesi, fra cui Pakistan e Filippine, i quali potrebbero anch’essi pretendere più rispetto sulla base del precedente indonesiano. È anche un confronto fra il primato storico-religioso dell’Arabia, culla della fede e custode dei luoghi santi, ma che ha solo 25 milioni di abitanti, e il primato demografico dell’Indonesia, che con 238 milioni di persone è il Paese musulmano più popoloso del globo. Giakarta, anche per la sua mole, non accetta certo che una sua cittadina venga uccisa così facilmente. Né che altri 28 indonesiani siano attualmente nel «braccio della morte» in Arabia, dove dal 1990 a oggi ben 300 sono stati i connazionali giustiziati. Oltre al danno, talvolta, la beffa, come quando lo scorso aprile una donna saudita è stata, in modo poco chiaro, assolta dall’accusa di aver torturato la sua cameriera indonesiana. Anche in quel caso, nella patria dell’immigrata si erano avuti imponenti cortei che scandivano slogan contro i sauditi.
Mirko Molteni