Massimo Mucchetti, Corriere Economia 4/7/2011, 4 luglio 2011
LA 7. LE VOGLIE DELL’INGEGNERE. LE RICHIESTE DI TELECOM ITALIA
Quali effetti avrà il tramonto di Silvio Berlusconi sulla televisione italiana? Benché non sia ancora possibile prevedere quanto durerà e quando si concluderà il declino politico del premier, alcuni effetti già si vedono, e altri emergeranno in seguito. L’appiattimento dei principali telegiornali di Rai e Mediaset sulle posizioni del governo ha prima socchiuso e poi spalancato le porte alla crescita de La 7, dove il tg di Enrico Mentana ha ormai conquistato la terza posizione nella prima serata, superando il 12%degli ascolti, il doppio dell’obiettivo massimo del suo stesso contratto. Ma anche altre trasmissioni, come l’«Infedele» e «Otto e mezzo» , macinano notevoli progressi. E questo suscita un inaspettato interesse attorno a Telecom Italia Media, per anni negletta in Borsa e sul mercato della pubblicità.
Le scelte di Telecom
Franco Bernabè, presidente di Telecom Italia, ha fatto sapere che, secondo lui, la società controllata che fa la tv vale un miliardo tra capitale e debito, ancorché i mercati gliene riconoscano la metà. Ma Bernabè ha anche spiegato che il 60%di questo miliardo va attribuito ai multiplex sui quali passano i canali in digitale. E qui sembra aprirsi uno spiraglio per avvicinare gli aspiranti compratori a Telecom Italia Media: se Bernabè si tenesse i multiplex e cedesse le attività televisive de La 7, sarebbe più facile far tornare i conti per tutti i pretendenti, a cominciare dal più accreditato dai giornali, Carlo De Benedetti, il quale ha già una tv, Rete A, con i suoi multiplex. De Benedetti aveva fatto sapere che una società ancora in perdita per 65 milioni non poteva certo essere valutata il miliardo di cui parla Bernabé, tanto più da un gruppo come L’Espresso che guadagna una cinquantina di milioni. Ma se si ragionasse su come mettersi assieme partendo da 400 milioni tutto cambierebbe. Sempre che Bernabè accetti adesso lo spezzatino e poi l’alleanza.
Il presidente di Telecom Italia sa bene che la tv non è mestiere di chi fa telecomunicazioni. E tuttavia la tv del futuro passerà anche sulla sua rete e poi, per spuntare il miglior prezzo, non ha fretta di vendere. Ma resta un dilemma: tra due anni, quando scadrà il mandato di Bernabé e pure la legislatura, Telecom Italia Media potrà valere di più o di meno di oggi? I multiplex sono candidati a rivalutarsi, ma La 7? Con il duopolio perfetto Rai-Mediaset che si fa del male da solo, lo spazio per l’intera società televisiva guidata da Gianni Stella si allarga, ma nel dopo Berlusconi? E qui sta il punto. Che, partendo da La 7, ci porta a ragionare sulle due maggiori tv generaliste: Rai e Mediaset.
Se il dopo Berlusconi coincidesse — e l’ipotesi non è improbabile — con una minor presa del partito Mediaset sulla Rai, l’emittente pubblica potrebbe riprendersi lo spazio di mercato che, con la direzione Masi, ha ceduto e con Lorenza Lei fatica a recuperare.
Le due ammiraglie
La 7 non è ancora portatrice di una sua peculiare cultura vincente, ma ha saputo ben ospitare i transfughi di ieri (Lerner) e di oggi (Mentana). Ora cerca di costruirsela utilizzando giornalisti del «Fatto Quotidiano» e di «Libero» . Epperò la scorciatoia verso l’audience resta l’ingaggio delle star della Rai invise a Berlusconi: incerto e costoso.
Senonché una Rai tornata normale non avrebbe gli attuali, drammatici problemi economici e gestionali. Conserverebbe gli incarichi a Michele Santoro e agli altri e tornerebbe alla sua quota storica di pubblicità, non avendo più un premier che organizza cene con gli industriali, molti dei quali inserzionisti sensibili alla benevolenza del principe non meno delle società a partecipazione statale, come si vede nell’articolo a lato.
I problemi del «Biscione»
Ma l’incognita somma consiste in quella che sarà la reazione del Berlusconi imprenditore al tramonto del Berlusconi politico.
Il figlio Piersilvio, proconsole in Mediaset, paventa apertamente il rischio che l’astio diffuso contro il padre finisca con il danneggiare il Biscione e vede nella caduta del titolo in Borsa la conferma di questo pericolo. In realtà, non è questione di astio o di simpatia, ma di come un nuovo quadro politico possa cambiare la competizione nell’industria della tv, magari con una parziale privatizzazione della Rai e con ciò mostrando l’indebolirsi progressivo del modello aziendale del Biscione.
Mediaset ha problemi congiunturali e strutturali. Contrariamente a Mediobanca ancora ottimista sul titolo del suo azionista Berlusconi, gli analisti di Cheuvreux, banca d’affari del Credit Agricole, hanno tagliato le previsioni e ora ritengono giuste le quotazioni correnti sui 3 euro. Nonostante la fiacchezza della Rai attutisca la caduta, la pubblicità sui canali generalisti di Mediaset è prevista in calo del 5%, mentre il margine operativo netto scende al 19,5%sui ricavi, il punto più basso dal collocamento in Borsa. A risollevare le sorti difficilmente sarà Mediaset Premium, che ha 2 milioni di carte prepagate in scadenza e deve ora fronteggiare la guerra dei prezzi di Sky, leader di mercato della pay-tv con il prossimo rinnovo dei diritti tv per il calcio.
Il nuovo accordo sulle partite si prospetta più oneroso in quanto il vecchio in scadenza era stato negoziato con un numero di abbonati assai inferiore. Pesano inoltre le difficoltà gravi di Endemol, produttore di format strapagato nell’illusione di ovviare così all’incapacità di produzioni proprie importanti, e il drastico calo della domanda di pubblicità in Spagna, dove peraltro Telecinco si è rafforzata acquisendo le tv generaliste e a pagamento del gruppo editoriale Prisa.
Ma più ancora di tutto questo, a emergere è ora la glaciazione culturale di Mediaset, da 15 anni seduta sugli allori di quella che fu la tv vincente dell’edonismo reaganiano e della Milano da bere, ben protetta dalla capacità di influenza sul concorrente pubblico, esemplificata dalle intercettazioni di Deborah Bergamini, dirigente Rai berlusconiana, che telefona ai suoi vecchi capi di Mediaset le modifiche al palinsesto per aiutarli nella contro programmazione.
Prigioniera del suo passato, Mediaset non sembra più capace di produrre i manager di un tempo, personaggi della tv nati fuori dalla Rai come Giorgio Gori, Maurizio Carlotti, Carlo Freccero, Andrea Ricci. E i vecchi leoni, da Fedele Confalonieri a Giuliano Adreani, non trovano adeguati ricambi. Anche per il Biscione vale l’antica regola che, alla fine, il monopolio fa male anche al monopolista. Ma, detto questo, non bisogna dimenticare che l’azienda continuerà a guadagnare 300-350 milioni, meno della metà dei bei tempi, ma sempre tanto a confronto dei conti in rosso di Rai e Telecom Italia Media. E questo potrebbe aiutarla a ritrovare una nuova strada più vicina allo spirito del tempo. Oppure saranno altri margini da cedere ai rivali.