Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore 2/7/2011, 2 luglio 2011
A RISCHIO LE TERRE RARE DI LYNAS
Doveva essere l’ancora di salvezza per gli utilizzatori di terre rare del mondo occidentale: una raffineria gigantesca, pronta ad entrare in produzione nel giro di pochi mesi e indebolire così il predominio della Cina, che oggi controlla il 90% delle forniture e che con politiche di esportazione sempre più restrittive ha provocato rialzi di prezzo vertiginosi per questi metalli, indispensabili per i loro impieghi nell’elettronica e nelle energie pulite.
Ora sono in molti a dubitare che Lynas Corp riesca davvero a mettere in funzione fin da settembre il maxi-impianto di Gebeng, in Malaysia, destinato a lavorare le terre rare estratte dalla miniera di Mount Weld, in Western Australia. Pressato dagli ambientalisti, il Governo di Kuala Lumpur – che tre anni fa aveva autorizzato la società australiana a costruire la raffineria – ha ora imposto il rispetto di undici condizioni prima di avviare le lavorazioni. I requisiti sono stati identificati sulla scorta del rapporto appena consegnato dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), che pure ha approvato l’impianto come conforme agli standard di sicurezza.
Il Ceo di Lynas, Nicholas Curtis, assicura che non ci saranno cambiamenti di programma: «Ci aspettiamo comunque di iniziare le consegne nella prima metà del 2012 e di essere pienamente operativi dal secondo semestre». L’obiettivo finale è raggiungere una capacità produttiva di 22mila tonnellate l’anno, circa un sesto dell’offerta mondiale e il 39% di quella che nel 2014 si prevede arriverà dalla Cina, che a quel punto – grazie anche ad altri progetti minerari in giro per il mondo – potrebbe veder ridotta al 36% la sua quota nel mercato delle terre rare.
Le rassicurazioni di Curtis tuttavia non sono state molto convincenti, a giudicare dalla reazione della Borsa di Sydney: Lynas è sprofondata, perdendo il 12 per cento. Difficile, in effetti, sperare che non vi siano ritardi. Gli adempimenti richiesti da Kuala Lumpur anche solo per consentire l’alimentazione dell’impianto col materiale di Mount Weld – attività che secondo i piani può iniziare entro 3 mesi – non sono semplici formalità: a Lynas è richiesto tra l’altro di predisporre un piano per lo smaltimento degli scarti di lavorazione radioattivi e uno per lo smantellamento e messa in sicurezza della raffineria, al termine del suo ciclo di vita, che si prevede almeno ventennale. Il sottosegretario al Commercio e industria della Malaysia, Rebecca Fatima Sta Maria, stima che ci potrebbero volere fino a un paio d’anni, anche se il ceo di Lynas giura di avere in seguito ricevuto smentita di tali dichiarazioni, riportate dalle agenzie di stampa.
Il "caso Gebeng" è esploso in Malaysia soltanto da pochi mesi, sull’onda dell’allarme nucleare scatenato dall’incidente di Fukushima: le terre rare non sono radioattive di per sè, ma le rocce da cui vengono estratte di solito contengono anche torio. E il Paese è già alle prese con la difficile bonifica del sito in cui fino agli anni ’90 sorgeva un’altra raffineria di terre rare, della giapponese Mitsubishi, che ha provocato un forte inquinamento della falda acquifera e, si sospetta, anche alcuni casi di leucemia nella zona.
Le proteste contro Lynas si sono poi fatte particolarmente accese dopo un’inchiesta del New York Times, da cui è emerso che diversi progettisti della raffineria di Gebeng hanno sollevato dei dubbi sulla sua sicurezza, in quanto Lynas in diversi casi avrebbe operato scelte al risparmio su tecniche e materiali di costruzione.