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 2011  luglio 02 Sabato calendario

TANTE ROSARNO PRONTE A SCOPPIARE

Tante piccole Rosarno. È quello che rischiano di diventare parecchie cittadine del Sud Italia. Almeno secondo quanto sostiene la ricerca Ires - in collaborazione con il dipartimento Mezzogiorno e l’ufficio Immigrazione della Cgil e con Flai e Fillea- dal titolo Immigrazione, sfruttamento e conflitto sociale. Insomma nel nostro Paese, e in particolare nel meridione (incredibilmente non appare a rischio alcuna provincia del Nord), tante “polveriere” sarebbero pronte ad esplodere.
Il primo premio se lo aggiudica la provincia di Caserta, seguono quella di Crotone e di Napoli. Ma sono in tutto quindici le provincie con maggior propensione alla conflittualità sociale. Molte delle quali in Sicilia.
Tra i motivi, il proliferare di situazioni di degrado causate dal lavoro in nero nel settore agroalimentare. Ma anche l’arretratezza culturale dei produttori agricoli e l’alto tasso di inattività giovanile che fa dei ragazzi futura manodopera da sfruttare. A questi si aggiunge la presenza di «politiche alternative rispetto a quelle dello Stato che si applicano quando, per esempio, i caporali devono raccogliere i lavoratori o quando si tratta di sfruttamento della prostituzione»: Maria Rosaria Calvio tocca quotidianamente con mano questo tipo di realtà da quando è sindaco di uno di questi luoghi a rischio (Ortanova). E voilà ecco che appare la criminalità organizzata sempre pronta a subentrare là dove lo Stato è carente. La soluzione? «Togliere qualsiasi tipo di sostegno a chi pratica il lavoro in nero e portare aiuti al settore agroalimentare», spiega il sindaco durante il convegno di presentazione della ricerca. Ma, soprattutto, «non essere corrivi con lo sfruttamento. Perché sembra che ora la regola sia l’aggiramento delle regole». Mentre il compito delle istituzioni è spingere all’integrazione creando mescolanza:«bisogna sostenere politiche che creino coesione sociale».
Avverte Mara De Felice, segretario generale della Cgil di Foggia, una delle zone più colpite dal fenomeno, insieme a Siracusa, Ragusa, Caltanissetta, Reggio Calabria, Salerno, Catania, Trapani, Taranto, Palermo, Agrigento e Lecce: «Quando si parla di emergenza e si applicano leggi di conseguenza non si fa altro che alimentare presenze funzionali a un sistema arcaico». Un esempio sono «le forme minime di contratto per poche giornate che hanno creato una nuova elusione contrattuale e contributiva». Spesso si creano veri e propri casi di schiavitù «la prima condanna in Italia si è avuta in provincia di Bari dove ci siamo costituiti parte civile», sostiene sempre De Felice e aggiunge «la Cgil ha fatto una serie di denunce su cui è stata poi elaborata la legge 28/2006 per l’emersione del lavoro nero». Che evidentemente non sempre funziona: «Perché trova il contrasto delle’associazione di aziende agricole».
Norme difficilmente applicabili secondo Roberto Caponi, direttore sindacale di Confagricolura, «si tratta di leggi difficili o troppo onerose e facilmente aggirabili». Il rischio è penalizzare le aziende che vogliono essere in regola e di lasciare un’ampia «zona grigia dove chi vuole riesce a sfuggire i controlli». Troppo dispendioso per l’azienda farsi carico «di alloggi idonei e del biglietto di rientro per gli immigrati». Così molti lavoratori stagionali in nero si ritrovano ad occupare alloggi abusivamente o a vivere nelle tendopoli spesso accuditi da Medici senza frontiere o da Emergency.
Per le assunzioni la situazione non è migliore: «Per assumere a tempo indeterminato uno stagionale che magari da tre anni lavora nella mia azienda, devo aspettare il decreto flussi e poi partecipare al click day e sperare di vincere». La questione agricola, sempre secondo Caponi, dovrebbe essere all’ordine del giorno non per i fatti di Rosarno che pure «ha avuto l’unico pregio di far parlare di lavoro agricolo» ma perchè «secondo l’Inps, sono un milione i lavoratori del settore e a loro è dovuto l’incremento del Pil».
«La rivolta degli immigrati di Rosarno - spiega la ricerca - non è una mera questione di ordine pubblico in cui affiorano d’improvviso gravissimi atti di razzismo e xenofobia, ma è il prodotto di una serie di fattori, di equilibri distorti e, soprattutto dalla mancanza di controlli da parte delle istituzioni».
Equilibri che non sembrano riguardare il settentrione: in termini di qualità dello sviluppo economico, ovvero la misura della ricchezza prodotta, ad essere messe peggio sono le provincie del Sud. Stesso discorso per la qualità dello sviluppo occupazionale ovvero la capacità del mercato di attivare il lavoro e garantire la sicurezza e corrispondere alle regole contrattuali, le provincie che registrano un indice più basso si concentrano nelle regioni meridionali. Sostengono le segretarie confederali della Cgil, Vera Lamonica e Serena Sorrentino: «Ciò che risulta chiaro dalla ricerca è che la qualità del lavoro e della vita stessa degli immigrati è fotografia della generale qualità sociale di un territorio».