Carla Marello, TuttoLibri - La Stampa 2/7/2011, 2 luglio 2011
MA QUANDO SI DEVE ANDARE A CAPO?
Si scriverà anni ’60 o anni Sessanta ? Bisogna sempre mettere la d eufonica dopo e quando alla congiunzione segue una parola che inizia per vocale? Alla fine dell’800 o alla fine dell’’800 con due apostrofi, visto che quando voglio intendere il secolo XIII scrivo nel ’300 o nel Trecento? Come debbo iniziare una lettera alla Preside o a un Professore? O all’assessore, o all’amministratore? Cara/o o Egregio o Gentile più il titolo? Come organizzo la pagina della mia relazione per l’esame? Come faccio i titoli delle parti in cui la suddivido? Quando devo andare a capo? Il capoverso va rientrato? Va bene iniziare con «L’argomento che intendo sviluppare è che…»?
Prendete un’autrice di dizionari come Maria Teresa Nesci e l’autrice di un testo sull’abilità di scrittura per stranieri come Marina Beltramo, mettetele a fare i corsi di scrittura per ingegneri al Politecnico di Torino e capirete perché il loro Dizionario di stile e scrittura è la ricetta giusta per accedere alla lingua italiana in pratica, come recita il sottotitolo.
E’ un dizionario perché dà accesso alla materia attraverso 400 voci alfabeticamente ordinate, ma collegate da una fitta rete di rinvii tematici. Ad esempio «I eufonica» è felicemente all’inizio del capitolo delle voci che iniziano per I, mentre «d eufonica» è finita fra «destinatario» e «diacritici». Alla voce «ordine alfabetico» sono spiegati i rischi di adottare l’ordine parola per parola, ma per future edizioni suggeriamo un bel rimando all’inizio del capitolo delle voci che iniziano per D, prima delle importanti voci «data del testo» e «date».
Alcune voci sono brevi, dedicate a parole che possono suscitare dubbi quando si pensa di usarle, come la voce codesto in cui si dice che fuor di Toscana è burocratico o «affettato», o quella relativa ad affatto , in cui si avvisa che è meglio non usarlo da solo per non generare ambiguità (Mi ha risposto «Affatto»: avrà voluto dire «sì certo» o «no per niente»?).
Non si respira aria di purismo, ma con delicata chiarezza le autrici spiegano che il registro «neostandard» va usato con grande cautela quando si scrive. E poi, dato che un esempio vale mille prediche, forniscono una dimostrazione concreta di quello che consigliano di evitare e di quello che consigliano di fare.
Nell’introduzione Beltramo e Nesci spiegano la loro filosofia: il Dizionario di stile e scrittura vuole aiutare chiunque abbia necessità di scrivere testi informativi anche partendo da livelli iniziali, da novellini della scrittura. Affrontano quindi tutti gli aspetti: dalla ricerca e organizzazione dei contenuti fino alla cura dello stile editoriale (quello che gli anglofili nostrani chiamano style sheet , con pronuncia spesso esilarante perché pericolosamente vicina alla pronuncia di shit ), passando attraverso le tecniche per ottenere un’esposizione comprensibile. Non mirano alla scrittura creativa, ma molte delle cose che dicono per la scrittura funzionale sono estendibili a qualsiasi tipo di scrittura.
Ci sono voci che spiegano l’effetto di certe figure retoriche, o di frasi con costruzioni marcate o con troppe nominalizzazioni . Si sviluppano su varie pagine «prosa strutturata» (forma di scrittura che rappresenta anche graficamente l’organizzazione del testo in temi e sottotemi) e finanche voci come «trattino» (così piccolo, così noioso) o «maiuscola iniziale». Fra le più lunghe, quasi una cinquantina di pagine, quella dedicata alla stesura dei riferimenti bibliografici, croce e delizia di chiunque voglia fare bella figura in qualunque sede.
Con «revisione», «volantino», «avviso al pubblico», «lettera di rifiuto», «scaletta», «intervista» siamo nel cuore del manuale di scrittura funzionale, e quando l’occhio cade su voci come «ipertesto», «blog», «newsgroup», «netiquette», «codifica dei caratteri Ascii», ci rendiamo conto che le autrici sono ben informate anche sulla scrittura al tempo della rete.