Andrea Scarpa, Vanity Fair n.26 29/6/2011, 29 giugno 2011
GLASTONBURY FESTIVAL
E poi c’è il Glastonbury Festival. Che non è come le altre rassegne estive di musica rock: è proprio un’altra cosa. In questo villaggio del Somerset, a 30 chilometri da Bristol – nel Sud dell’Inghilterra – dal 1970 la gente per cinque giorni prova a fare un’altra vita. Fatta di musica, ma non solo. La magia del posto, crocevia di leggende cristiane e pagane, aiuta non poco. Quest’anno, dal 22 al 26 giugno, sui venti palchi allestiti nell’enorme area del festival – i 4,5 chilometri quadrati della Worthy Farm di Michael Eavis, che ha inventato la manifestazione per ricordare Jimi Hendrix, il giorno dopo la sua morte – c’era gente come U2, Coldplay, Beyoncé, Paul Simon, Morrissey, Kaiser Chiefs, Eels, Big Audio Dynamite dell’ex Clash Mick Jones, Plan B, Janelle Monáe e centinaia di altri artisti provenienti da tutto il mondo. Un’offerta incredibile che concede il lusso a chi organizza di mettere alla stessa ora, su due palchi differenti, la band di Chris Martin e The Chemical Brothers, e di offrire un concerto a sorpresa, mai annunciato, dei Radiohead di Thom Yorke (ad ascoltarli c’erano anche gli Arctic Monkeys, al festival solo come spettatori. Ve la immaginate una scena così da noi?).
C’erano loro, ma c’erano anche giocolieri e dispensatori di ossigeno aromatizzato, comici e istruttrici di hula-hoop, cartomanti e nudisti, astrologhe e massaggiatori ayurvedici, Hare Krishna e fabbricatori di forni di fango, insegnanti di dialogo con lo spirito degli alberi e camminatori sulla brace. A Glastonbury è tutto così: a contatto con la natura, spirituale, sano. Qui si mangia vegetariano o vegano – o fish and chips, ovviamente – e si fa la fila per entrare tutti nudi nella capanna-sauna dove ci si sta in 45: belli e brutti, giovani e vecchi. L’aria che tira è da fricchettoni di ritorno: divertente, pacifica e rilassata. Anche se non si fanno sconti a nessuno: gli U2 sono stati contestati lo stesso, visto che hanno spostato la loro residenza fiscale dall’Irlanda all’Olanda per pagare meno tasse. E qui, con queste cose, non si scherza. E nemmeno con i miti: lo scomparso leader dei Clash Joe Strummer veniva qui tutti gli anni, in vacanza con la famiglia o per suonare. Aveva un «suo» albero, vicino a una roccia, dove andava per la siesta. Lì adesso gli organizzatori hanno messo dei divani a semi cerchio con un braciere al centro. È Strummerville, e tutti prima o poi ci fanno un salto. Proprio come allo Shangri-La, la zona riservata ai balli techno-dance che vanno avanti fino all’alba, dove c’è spazio anche per il tendone della Silent Disco: si entra, si mette la cuffia, e si balla in silenzio. Qui vicino, nell’area Mud Max, ci sono sculture post-atomiche con carcasse di aerei, serpentoni metallici, enormi ragni sputafuoco, un vecchio treno «volato» dentro un finto palazzo, un taxi schiantato sul terrazzo. Intorno negozietti di ogni tipo – allestiti anche nei vecchi bus a due piani londinesi – vendono vestiti, bandierine tibetane, cibi di ogni provenienza. Per scelta non c’è una sola pubblicità, mentre camion attrezzati con il bancomat sono ovunque. Il festival, tanto per dare un’idea, ha un volume di affari di circa 80 milioni di euro, 2 dei quali vanno sempre in beneficenza.
Tutti i 137.500 partecipanti di quest’anno – a ottobre i biglietti per l’intero festival sono andati esauriti in quattro ore, al costo di 220 euro circa, senza che gli acquirenti conoscessero i nomi degli artisti in cartellone – hanno gli stivaloni di gomma ai piedi e la mantellina impermeabile, le ragazze quasi sempre sono in pantaloncini corti, tanti si mascherano: da tigri, ballerine di Ali Baba, ranocchie, banane, Big Ben, coccinelle, cabina del telefono, guerrieri medievali, cavernicoli che offrono abbracci gratis…Qui lo spettacolo lo fa chiunque, non solo chi va sul palco. Tutti vengono per stare cinque giorni, e quasi tutti dormono in tenda. Sulla collina più alta della fattoria, vicino alla grande scritta Glastonbury, ci sono circa 300 tende modello pellerossa, dove per tutto il festival ci si sta in sei per meno di 1.000 euro. È la soluzione più cara. Poco distante c’è anche uno spazio riservato esclusivamente alle famiglie, che sono tantissime, con nonni al seguito. C’è chi viene anche con bimbi molto piccoli, chissenefrega di pioggia, fango e vento. «Non esistono brutte giornate», spiega Jane, madre di Bob, 6 mesi, e George, 2 anni, «ma solo vestiti sbagliati. Basta organizzarsi, e coprirsi».
Fra chi s’è divertito in mezzo al fango dei primi tre giorni, e sotto il sole cocente degli ultimi due, c’erano anche Ben, londinese di 33 anni, che ha ballato per 72 ore consecutive per entrare nel Guinness dei primati; Mark, che in 5 giorni ha fatto una scultura di sabbia di 5 metri raffigurante un embrione umano di sei settimane; John, un avvocato cinquantenne della City vestito da astronauta d’oro con una stella in testa, che: «Faccio così perché giocare mi fa star bene. Qui ci si sente liberi di essere se stessi fino in fondo. Nella vita di tutti i giorni chi può dire di esserlo davvero?». Domanda che sembra fatta apposta per Christopher Shale, 56 anni, amico e collaboratore del premier britannico Cameron, che domenica è stato trovato in un bagno chimico di Glastonbury. Quasi sicuramente si è suicidato. E poi c’era anche Rose, che ha 65 anni, somiglia a Margaret Thatcher, e al concerto degli U2, sotto la pioggia, sedeva su una seggiolina da picnic. Quando le ho chiesto che cosa ci facesse lì, ha risposto: «Caro mio, ero una di quelle che strillava dietro ai Beatles, che c’è di strano? Ho quattro anni meno di Paul McCartney, e mi piace Bono».
P.S. L’anno prossimo il Glastonbury Festival non ci sarà. Le mucche e i prati della fattoria di Michael Eavis ogni quattro anni si prendono una pausa. L’appuntamento è per il 2013.