Riccardo Venturi, Vanity Fair n.26 29/6/2011, 29 giugno 2011
L’IMPRENDITORE-RAPINATORE
L’incontro con le slot machine ha cambiato la vita di Marco, 37 anni della provincia di Pisa, sposato, due figlie di 7 e 14 anni. Una passione così sfrenata che quelle macchinette mangiasoldi alla fine è andato a prendersele nei bar sfondando le vetrine con l’auto, per svuotarle e avere i soldi da buttare in altre slot. Tutto comincia solo 2 anni fa, quando Marco si ferma in un bar per un panino, e si gioca le monete di resto nella slot machine. Per scherzo. Gioca 5 euro e ne vince 600, al primo colpo. Da allora si mette a giocare tutti i giorni fino a 5, 10 mila euro. Le slot machine di nuova generazione permettono di usare le banconote, lui mette anche 300 euro in un colpo solo. Nel giro di 6 mesi è rovinato. Deve chiudere la sua azienda di pelletteria, congedare i due dipendenti, a cui paga tutto quel che deve. Sua moglie scopre la situazione, Marco inizia a litigare con lei, con il padre, con la madre. Sta male. Inizia con le rapine a mano armata nelle banche, sfonda le vetrine dei bar per svuotare le macchinette, disperatamente solo. Mentre gioca sta bene, è pieno di adrenalina, dopo aver perso è distrutto. Dopo oltre un anno di rapine e furti lo arrestano a casa. Ha buttato nelle slot 530 mila euro, ne ha 235 mila di debiti con i suoi fornitori di pellame. Finisce in galera. Vuole smettere di giocare. Lo mandano ai domiciliari e dopo un altro mese partecipa alla terapia residenziale di tre settimane per la dipendenza dal gioco d’azzardo Orthos, dove lo incontriamo. Decide di cercare un lavoro, di vendere un terreno per pagare i debiti, di stare vicino alla moglie e alle figlie. «Ho capito che a questo mondo non contano i soldi. Conta solo l’amore».
Il finto studente, poi barbone
È stato questo l’effetto del poker, del videopoker e delle slot machine sulla vita di Carlo, 46 anni, del Milanese. Comincia a giocare giovanissimo a poker con gli amici. Ruba i soldi alla mamma e alla nonna. Finito il liceo, per anni finge di studiare Medicina all’università. Non dà nemmeno un esame, ma lavora in nero e si gioca quel che guadagna. Famiglia e fidanzata si bevono tutto, tesi inclusa, con tanto di festa di laurea a 26 anni. Un anno dopo non sopporta più il peso della menzogna, e confessa tutto. La reazione dei suoi cari è più blanda del previsto. Carlo trova lavoro come impiegato e per un po’ tutto va bene, ma dopo un paio d’anni nei bar arrivano i videopoker. Prende 20 milioni di lire in prestito per l’auto, che ne costa 10, gli altri se li gioca in 6 mesi. Una settimana prima delle nozze confessa i debiti di gioco alla fidanzata e al padre. Dice di voler smettere. Lei gli dà fiducia, e si sposano. Dopo 9 mesi ci ricasca, nonostante i farmaci prescritti da una psichiatra. La moglie lo scopre e decide di lasciarlo. La casa rimane a lei, lui torna a vivere con i genitori. Frequenta un gruppo dei Giocatori anonimi e riesce a stare lontano dal videopoker per un anno e mezzo. Poi si mette alla prova, punta 5 euro, ne vince 50 e ci ricasca, passa alle slot machine. Arriva la depressione: si mette a fare il barbone. Tenta il suicidio con il Valium. Perde il lavoro. Alla fine i suoi genitori lo mandano in terapia. Oggi, dopo tre settimane, vuole ripartire. «Ho ritrovato un po’ di autostima. E ho riscoperto che vivere non è così brutto. Voglio trovare lavoro e pagare i miei debiti».
abusi, eroina, scommesse
Francesco, 49 anni, di Firenze, dipendente prima dalle scommesse sportive, poi dall’eroina, poi dal videopoker e dalle slot machine, durante le tre settimane di terapia ha scoperto di aver subito un abuso quando aveva 5 anni. «Stavamo facendo un lavoro di concentrazione sulla nostra infanzia, ed è emersa questa cosa orribile. È stato un dramma. Avevo cancellato tutto». Francesco comincia con le scommesse sui cavalli a 14 anni, poi passa a quelle sportive. Lavora e si gioca tutto quello che guadagna fino ai 23 anni. Poi l’eroina: si buca per 8 anni, poi 3 di comunità, poi una ricaduta. Riesce a smettere con la droga ma ricomincia a giocare. Non più scommesse, ma prima videopoker e poi slot machine. «Con la slot ti estranei da tutto, ti dà l’illusione che sia una battaglia tra te e lei». Lavora come operaio in un’officina meccanica, guadagna 1.100 euro al mese, 300 li dà alla madre, con cui vive, gli altri li gioca. Anzi, li giocava: ora ha 25 mila euro di debiti con una finanziaria, e 650 euro al mese gli sono trattenuti per pagare il doppio di quello che ha ricevuto. Un giorno gli propongono di fare la terapia residenziale. «Ho pensato: sono tutti grulli. Non sapevo che esistesse una terapia per il gioco d’azzardo. È più facile smettere di bucarsi che lasciare il gioco, per l’eroina c’è il metadone». Oggi, dopo la scoperta dell’abuso subito in tenera età, in lui è nato qualcosa di nuovo. «Voglio ripartire dalle relazioni sociali, non ho più amici. E fra 6 anni, quando andrò in pensione e avrò pagato il mio debito, andrò in Guatemala, dove 15 anni fa ho comprato una casetta sul Pacifico. Starò là a pescare».
cavalli, vestiti, slot machine
Domenico, 34 anni, del Casertano, una bimba di 2, ha buttato più di 130 mila euro in tre anni. Comincia a giocare a 27, quando punta 180 euro in un’agenzia ippica del Milanese e ne vince 1.000. La tentazione è troppo forte, torna a puntare e perde. Sente rabbia, lo stesso sentimento lo spinge a scommettere ogni volta che ha un problema Spende circa 400 euro al mese, che sottrae al suo stipendio di tornitore meccanico. Nel 2007 riesce a smettere per 5-6 mesi, ma la rabbia non lo abbandona. La sfoga comprando scarpe e vestiti troppo costosi. Nel 2009 scopre le slot machine ed è il disastro. Per tre anni spende tutto il suo stipendio, più 42 mila euro del suo conto corrente. Quando gioca sfoga la rabbia con la macchinetta, tirando pugni sui pulsanti. Perde il senso del valore del denaro. Su pressione della compagna va al Sert (il Servizio per le tossicodipendenze), da una psichiatra ma non sente di voler smettere. Finché un paio di mesi fa, in un accesso d’ira mentre prende a pugni un muro, colpisce di striscio la sua compagna, sul naso. Lei si spaventa, va dai genitori che chiamano la polizia. Domenico si sente «una merda», entra in terapia, e qui scopre parti dolorose della sua vita che aveva rimosso. Quando era bambino suo padre aveva problemi con l’alcol e picchiava la moglie. Lui si sentiva di dover difendere la mamma. «È stato un orrore tirare fuori tutta quella roba. Però mi ha liberato. Mi sento leggero. Ora riesco a sentire l’amore di chi mi ama, di mia figlia. E sono riuscito a vedere che sono una persona stupenda».