Piero Ostellino, Corriere della Sera 01/07/2011, 1 luglio 2011
AL DI LA’ DELL’INDIGNAZIONE NON CONFONDIAMO GIUSTIZIA CON VIRTU’
Le reazioni, moralmente indignate e, in una certa misura, del tutto comprensibili, di una parte dell’opinione pubblica di fronte al «caso Bisignani» nascono dalla convinzione che a fondamento di una (accettabile) «teoria dello Stato» ci debba essere una (buona) «teoria etica». Ma, nel momento stesso in cui tendono a sviluppare un approccio teoretico alla virtù — cioè a definire e a cercare di applicare una «teoria etica» alla dura realtà sociale — quegli stessi italiani scoprono che essa non è assimilabile alla «teoria dello Stato»; che lo Stato, come Ordinamento giuridico, è altra cosa dal Regno della Virtù; che i doveri morali che la «teoria etica» impone agli uomini non sono gli obblighi giuridici che la «teoria dello Stato» prescrive loro come cittadini.
È la differenza fra Etica e Diritto che distingue lo Stato moderno — di «pluralismo dei valori», non confessionale, autonomo dalla religione e indipendente dalla Chiesa, che non confonde il peccato col reato» da quello medievale dove, invece, tali distinzioni non solo non sussistevano, ma erano persino moralmente impensabili; dove la Chiesa era un Ordinamento sovraordinato allo Stato, gli uomini erano sudditi del sovrano e, allo stesso tempo, fedeli alle autorità ecclesiastiche.
La scoperta che il mondo in cui viviamo non è quello in cui il concetto di cittadinanza e l’idea di moralità coincidono suscita, però, domande inquietanti. La fiducia nello Stato è una virtù analoga all’onestà, al tenere fede agli impegni presi? Come contare sul potere dello Stato, e sulla capacità di influenza del governo, per ottenere l’ubbidienza dei cittadini alle virtù della «teoria etica» ? Crolla — con la convinzione che a fondamento di una accettabile «teoria dello Stato» ci debba essere una (buona) «teoria etica» — la fiducia nello Stato come è, quello nel quale viviamo e col quale conviviamo tutti i giorni.
L’Illuminismo empirico e scettico settecentesco aveva immaginato che, nella loro vita primitiva, gli uomini operassero all’interno di una società non strutturata, regolata da costumi volontari e informali, genericamente identificabili con l’idea di Giustizia.
La transizione da tale società, esclusivamente familiare — tenuta insieme dai vincoli di appartenenza parentale — a una società governata da legislatori e da magistrati non aveva, però, segnato due momenti storici distinti; l’uno caratterizzato dallo sviluppo senza Stato, l’altro dallo Stato. Era convinzione degli illuministi empirici che la società pre-civile, pre-statuale, ancorché di relazioni elementari e limitate, fosse una necessità per gli uomini, ma che solo certe società necessitassero di uno Stato. Il fatto che, per convivere, gli uomini della società pre-civile avessero adottato gradualmente e volontariamente certe convenzioni sociali non implicava, né giustificava, la formazione dello Stato, la nascita di un governo.
Gli uomini, secondo tale interpretazione, avevano potuto sviluppare una primitiva e moderatamente stabile società senza attribuire a nessuno alcuna autorità e un dominio sugli altri. Non c’erano «leggi di natura» che ne regolassero la convivenza, ma solo convenzioni per il rispetto di alcuni principi che nulla avevano a che vedere con quelle che sarebbero state le leggi dello Stato imposte con la coercizione. La nascita della società civile, e l’invenzione dello Stato, non erano state qualcosa di estraneo a una primitiva organizzazione sociale che era esistita storicamente. La transizione dalla società pre-civile a una società regolata da norme formali di giustizia e allo Stato era avvenuta quando degli «estranei» al nucleo familiare avevano aderito a quelle stesse convenzioni e la loro adesione, non solo morale, ma cogente, si era estesa a tutti i componenti della comunità così allargata dando vita a una nuova forma di virtù che consisteva, ora, nell’obbligo di attenersi alle regole. La «storia naturale» del concetto stesso di Giustizia spiega perché essa sia stata identificata con l’idea di Virtù. Hanno, dunque, un qualche fondamento storico, oltre che psicologico, le reazioni moralmente indignate di una parte dell’opinione pubblica di fronte al «caso Bisignani». Ma se ne percepiscono anche sia il ricordo di una società pre-civile, sia la pericolosità. L’identificazione della Giustizia con la Virtù conduce allo Stato che controlla (intercetta?) tutti allo scopo di verificare che tutti si comportino bene, non solo in ossequio alla Legge, ma anche e soprattutto, secondo Virtù; collettiva, razziale, rivoluzionaria che sia. I totalitarismi del XX secolo questo sono stato.
Piero Ostellino