KEITH BRADSHER, la Repubblica 1/7/2011, 1 luglio 2011
NELLA RAFFINERIA DELLE "TERRE RARE" CON L´INCUBO SCORIE RADIOATTIVE
Una raffineria da 230 milioni di dollari, costruita qui in Malesia nel tentativo di spezzare la stretta soffocante che la Cina esercita a livello mondiale sui metalli rari, deve fare i conti con lavori di realizzazione che comportano rischi ambientali e problemi di progettazione: lo dicono dei promemoria interni e una serie di ingegneri che hanno lavorato o stanno lavorando al progetto. Lo stabilimento, che diventerebbe la più grande raffineria mondiale di metalli rari, è contestato anche da chi teme infiltrazioni di materiali tossici e radioattivi nella falda acquifera. Ci si aspettava che l´impianto, che raffina minerali rari per trasformarli in materiali adatti all´industria manifatturiera, avrebbe comportato qualche rischio. I metalli rari non sono radioattivi, ma in natura di solito sono mescolati al torio, e questo sì è radioattivo.
È per questa ragione che tre anni fa, dopo aver ricevuto dal governo di Kuala Lumpur l´autorizzazione a costruire l´enorme complesso di 100 ettari che sorge su un´area paludosa tropicale bonificata, la Lynas Corporation, una società australiana, promise di prendere precauzioni particolari.
Sarebbe il primo stabilimento di lavorazione di materiali da quasi trent´anni a questa parte a essere realizzato al di fuori della Cina, dove diverse fabbriche, soggette a scarsa regolamentazione, si sono lasciate dietro grandi siti di scorie tossiche e radioattive.
La Lynas ha buoni motivi per completare in fretta la raffineria. Le restrizioni all´export imposte dalla Cina nell´ultimo anno hanno creato una situazione di scarsità di minerali rari a livello mondiale, facendo schizzare i prezzi alle stelle. Ma anche altre compagnie si stanno dando da fare per aprire nuove raffinerie negli Stati Uniti, in Mongolia, in Vietnam e in India prima della fine del 2013, e questo potrebbe far precipitare i prezzi dei minerali rari. I funzionari della compagnia australiana sostengono che la raffineria che stanno realizzando qui in Malesia è sicura e rispetta gli standard del settore, e dicono che stanno lavorando insieme ai subappaltatori per risolvere le loro preoccupazioni.
L´Agenzia internazionale per lo sviluppo atomico giovedì ha diffuso un rapporto in cui sostiene che la progettazione generale e le procedure operative previste rispettano i parametri internazionali. Il rapporto non ha esaminato nel dettaglio i lavori di costruzione e le decisioni ingegneristiche legate alla trasformazione del progetto in un edificio; un programma ha dimostrato che la visita degli autori del rapporto in un complesso così grande è durata appena un´ora. Nicholas Curtis, il presidente esecutivo della Lynas, in una conferenza stampa svoltasi giovedì a Kuala Lumpur, ha smentito energicamente che la costruzione della raffineria stia incontrando problemi di sorta, sostenendo che vi sono state solo discussioni di routine fra ingegneri riguardo a questioni tecniche.
Ma la costruzione e la progettazione potrebbero presentare gravi difetti a quanto dicono gli ingegneri, che hanno fornito anche promemoria, messaggi di posta elettronica e fotografie provenienti dalla Lynas e dalle aziende appaltatrici. Gli ingegneri dicono di avere il dovere professionale di esprimere apertamente i loro timori per la sicurezza, ma hanno insistito per rimanere anonimi per paura di essere messi al bando da tutte le aziende del settore.
Tra i problemi descritti nel dettaglio da questi tecnici c´è la presenza di crepe strutturali, sacche d´aria e falle in molte delle strutture di cemento per 70 vasche di contenimento, in alcuni casi più grandi di un autobus a due piani. Gli ingegneri dicono anche che quasi tutte le tubature d´acciaio ordinate per l´impianto sono di acciaio ordinario, secondo loro non adatto per la fanghiglia corrosiva e abrasiva che vi scorrerà dentro. Le raffinerie di metalli rari in altri Paesi fanno largo uso del più costoso acciaio inossidabile, o di tubazioni in acciaio con rivestimento in ceramica o in gomma.
Alcuni promemoria interni mostrano che le fondamenta di cemento della raffineria sono state costruite senza un sottile strato di plastica che potrebbe impedire ai piloni di cemento di assorbire umidità dai terreni paludosi bonificati su cui poggiano. La fabbrica è collocata a breve distanza, nell´entroterra, da una foresta costiera di mangrovie, e parecchi chilometri a monte di un fiume che scorre fino al mare passando per un povero villaggio di pescatori.
La Lynas ha dato il via al progetto tre anni fa, ma aveva appena fatto in tempo a cominciare i lavori che è rimasta a corto di denaro a causa della crisi finanziaria globale. La compagnia australiana ha riavviato i lavori l´anno scorso, dopo che le restrizioni alle esportazioni di minerali rari imposte dal governo di Pechino hanno convinto le banche e le multinazionali che utilizzano questi materiali a offrire generosi finanziamenti.
La Malesia avrebbe avuto buoni motivi per pensarci con attenzione prima di autorizzare la Lynas a costruire lo stabilimento. La sua ultima raffineria di minerali rari, gestita dalla giapponese Mitsubishi Chemical, ora è uno dei più grandi siti di bonifica radioattiva di tutta l´Asia. L´impianto, sull´altro lato della penisola malese, chiuse nel 1992 dopo anni di manifestazioni, a volta violente, da parte dei cittadini.
Nonostante i rischi potenziali, il Governo di Kuala Lumpur ha fatto di tutto per convincere la Lynas a investire, arrivando a offrirle un´esenzione dalle tasse per 12 anni. Il progetto rappresenta il più grande investimento australiano in Malesia e l´obbiettivo è di produrre ogni anno minerali rari per un valore di 1,7 miliardi di dollari, ossia quasi l´1 per cento di tutta la produzione economica nazionale. La Lynas ha accettato di versare ogni anno al Comitato malesiano per le licenze di energia nucleare lo 0,05 per cento degli introiti dello stabilimento, per effettuare ricerche sulle radiazioni. Le proteste contro lo stabilimento in Malesia sono cominciate dopo un articolo sul progetto pubblicato ai primi di marzo sul New York Times.
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Traduzione Fabio Galimberti