FRANCESCA PACI, La Stampa 1/7/2011, 1 luglio 2011
Viaggio a Carpi, tra sogni e delusioni di integrazione - A mezzogiorno il mercato di Carpi è un piccolo scorcio di Pakistan
Viaggio a Carpi, tra sogni e delusioni di integrazione - A mezzogiorno il mercato di Carpi è un piccolo scorcio di Pakistan. Uomini in camicia coreana e capelli impomatati, donne con il tradizionale abito shelvar kamis che trascinano il carrello della spesa, il brusio in urdu a commentare le occasioni del giorno: se non fosse per la Cattedrale barocca su Piazza dei Martiri e il salumiere sotto i portici, sembrerebbe d’essere in Punjab. Da una quindicina d’anni il distretto tessile modenese è diventato, con il Bresciano, la meta dell’immigrazione pakistana. Sebbene la crisi abbia innalzato la disoccupazione dall’1% al 10% spingendo molti in Francia o in Germania, mogli e bambini sono rimasti tra Carpi e Novi, nelle palazzine basse con i gerani alle finestre, nei cortili in cui si gioca a calcio come a cricket. «L’aumento delle ragazze che sfidano il tradizionalismo dei genitori indica il progressivo radicamento dei pakistani in Italia, dove sono ormai almeno 100 mila» osserva il giornalista e mediatore culturale Ejaz Ahmad. Nel modenese gli operai pakistani rappresentano la stragrande maggioranza degli stranieri, che in totale sfiorano il 17,5% della popolazione, il 10% in più della media nazionale. Con il loro numero è cresciuto anche quello dei giovani, la seconda generazione che affronta il conflitto identitario tra la memoria delle origini e la cittadinanza del mondo. È qui che otto mesi fa Hamed Khan Butt uccise la consorte, che non condivideva i suoi piani per la primogenita Nosheen. È qui che a marzo un genitore geloso ha picchiato figlia tredicenne, rea d’essere corteggiata dai compagni. È qui che cresce gran parte delle circa 10 fanciulle che ogni anno fuggono dal padre-padrone. «Lo scontro genitori-figli dipende dalle famiglie: alcune sono aperte, altre meno, certe preferiscono riportare le adolescenti in patria dopo la scuola primaria per evitare guai» commenta Parvez legando la bici davanti al Duomo. Lui, per esempio, accetterebbe un genero italiano? Ci pensa, consulta con lo sguardo i connazionali in piazza e ammette: «La nostra religione non lo consente. Le ragazze devono studiare, è ovvio. Ma in istituti separati». Nessuno ricorda volentieri Hamed Khan Butt a Carpi, 69021 abitanti, di cui 9237 stranieri e 2352 pakistani. Un nome che evoca fantasmi da esorcizzare con il silenzio. Il trentenne Suhail non parla di lui, ma ne prende implicitamente le distanze: «Ho questo banco di casalinghi da 10 anni, frequento amici italiani, i miei bimbi crescono qui. Ho anche avuto fidanzate italiane». A due passi da lui, il cinquantenne Javed si finge distratto e non commenta. I connazionali bisbigliano quando lo si nomina: la figlia ha sposato in chiesa un carpigiano. Javed svicola: «Non torno in Pakistan neppure in ferie, tifo Milan, mangio pizza. I costumi patri? Mi alzo alle 6 e non ho tempo per pensarci». «In Italia siamo sradicati, si è perduta la continuità genitori-figli: più incoraggiamo i nostri ragazzi a pregare e meno otteniamo, appena crescono si allontanano da noi» sospira Abid servendo pollo al curry e lenticchie masala al Lahore Fast Food di via Marx, l’unico ristorante pakistano della città. Conosce bene la materia: dal 2002 il primogenito Masood vive con la fidanzata Carla: «Passi che è cristiana, ma che almeno si sposino». Nel modenese le prove d’integrazione dei pakistani fanno sorridere i «colleghi» tunisini, compiaciuti di fronte a qualcuno ancor più straniero di loro. «Abbiamo accettato i matrimoni misti, il nostro problema è il lavoro, non la gelosia» afferma Sami, 28 anni, di Monastir, indicando la fanciulla con i brillantini al naso e i bracciali d’oro ai polsi che attraversa via Costa trattenendo sul capo lo scialle nero gonfiato dal vento. Si chiama Shanaz, ha 35 anni. È timida ma sa il fatto suo: «Aspetto a giorni mia figlia tredicenne. È bella, so che mi farà battagliare con mio marito. La modernità non è un crimine, purché non si ecceda». Ossia? «Niente minigonne né sesso prima delle nozze». «Il nodo è culturale più che religioso, l’Islam c’entra poco. Gran parte degli immigrati pakistani proviene dal Guajarat, una zona del Punjab contadina, arretrata, molto conservatrice» spiega Ejaz Ahmad. A giudicare dalla felpa e le Nike, le gemelle Saima e Asina parrebbero italiane. Il Guajarat in cui sono nate nel ‘95 è una foto un po’ sbiadita. «Nel tempo libero aggiorno Facebook, ascolto musica con l’iPod, l’ultima volta che sono andata al cinema ho visto “Il discorso del re” e mi è piaciuto» racconta Asina all’uscita dalla scuola di moda Vallauri, la stessa frequentata da Nosheen Butt prima d’essere ridotta in fin di vita dal padre e dal fratello. Guai però a chiedere di lei alle ragazze: balzano leste sul bus e fanno ciao con la mano.