Marco Malaspina, l’Espresso 7/7/2011, 7 luglio 2011
VOLARE A ZERO EMISSIONI
La parola d’ordine per l’accesso ai cieli è green. Trasporti aerei ecosostenibili. Così impone l’Europa, che attraverso programmi di ricerca come Clean Sky, lanciato nel 2008, e comitati consultivi come Acare (la piattaforma tecnologica europea per l’aeronautica), ha scritto nero su bianco cosa dovranno garantire gli aerei del 2050 quanto a tutela dell’ambiente. Emissioni di CO2 ridotte del 75 per cento. Ossidi di azoto abbattuti del 90. E meno 65 per cento sul fronte del rumore percepito. Questi i principali obiettivi da raggiungere rispetto al 2000. Insomma, lasciando da parte velivoli sperimentali come Solar Impulse (il prototipo di aereo a energia solare che nel maggio scorso ha coperto la tratta Ginevra-Bruxelles a impatto zero, impiegando però ben 13 ore) e concentrandoci sui voli commerciali, sono previsioni realistiche o poco più che buoni propositi?
"Sono obiettivi molto ambiziosi", ammette Guido De Matteis, professore di Meccanica del volo alla Sapienza di Roma e rappresentante italiano di Acare: "Ma l’importante non è tanto riuscire a raggiungere quei numeri, quanto far sì che nei prossimi decenni un ammontare rilevante degli investimenti vadano in quella direzione".
E questo, in effetti, sta accadendo. I modelli di punta dei due big del settore, l’A380 dell’Airbus e il B787 della Boeing, almeno quanto a consumo di carburante sembrano aver imboccato la strada giusta: ne bruceranno, per ogni passeggero, attorno ai tre litri ogni cento chilometri. Meglio di un’utilitaria, dunque. E un buon 16 per cento in meno rispetto ai tre litri e mezzo che si bevono in media gli aerei attualmente in circolazione. Consumi tutto sommato contenuti, verrebbe da dire. Ma proviamo a moltiplicarli per i circa 2,2 miliardi di passeggeri che volano ogni anno nei cieli di tutto il mondo, e scopriremo che tutto questo viavai scarica in atmosfera 628 milioni di tonnellate di CO2 all’anno: il 2 per cento di tutto il contributo umano al cambiamento climatico.
E non è finita qui, perché, sottolinea Guido De Matteis, "si prevede uno sviluppo enorme dell’aviazione, circa il 4-5 per cento di voli in più all’anno. Il che significa 16 miliardi di passeggeri nel 2050. Anche se le altre fonti d’emissioni si riducessero, quello dei voli aerei diventerebbe un contributo insostenibile. Uno sviluppo tecnologico per limitare le emissioni è dunque assolutamente necessario".
Per riuscirci, occorrerà metter mano a praticamente tutte le componenti del volo, dall’aerodinamica ai motori, dai materiali ai carburanti. L’aspetto stesso degli aerei è destinato a cambiare in modo sostanziale. "Gli studi della Nasa, per esempio, già parlano di velivoli "a tutt’ala" (blended wing), nei quali non si distingue più la fusoliera dalle ali: sembrano un unico oggetto, simile a un triangolo. Dal punto di vista aerodinamico, è una configurazione molto promettente", spiega De Matteis: "Ma uno dei problemi maggiori è che i passeggeri, ospitati nelle ali, non avrebbero più la possibilità di avere i finestrini. Occorreranno sistemi video in grado di fornire un’immagine in tempo reale dell’esterno. Anche perché le compagnie accetterebbero a fatica un mezzo in cui non si può guardare fuori".
Se l’aerodinamica è senza dubbio l’aspetto più appariscente, è però sulla progettazione delle turbine e dei materiali che s’intravedono soluzioni a breve termine, se non già applicate. È il caso del B787 Dreamliner, il nuovo aereo della Boeing, i cui primi esemplari dovrebbero essere consegnati alle compagnie entro fine anno. Realizzato quasi interamente in carbonio, vederlo decollare fa impressione: l’estremità alare si solleva molto più di quanto accade in un aereo tradizionale, quasi fosse l’ala di un uccello. "È il primo velivolo commerciale di grandi dimensioni costruito con materiali compositi, usati di solito per velivoli militari. Sarà in grado di collegare qualsiasi coppia di aeroporti nel mondo. E offrirà ai passeggeri un livello di comfort unico, con un grado d’umidità ottimale", dice Guido Giordano, direttore tecnico di Avio, un gruppo internazionale con sede in Italia. Con oltre 1,7 miliardi di euro di fatturato, il gruppo Avio, ceduto dalla Fiat nel 2003 a un fondo di private equity e a Finmeccanica, è oggi fra i big mondiali dell’aerospazio. Nei suoi stabilimenti di Rivalta di Torino - dove lavorano oltre 2 mila persone, un buon 8 per cento delle quali impegnato nella ricerca - è nata una fetta consistente del motore del B787. "Si chiama GEnx, e oltre ad avere un sistema di combustione molto pulito, è anche in grado di fornire 1 MW di energia elettrica. Allo stesso tempo è silenzioso, e questo permette l’accesso agli aeroporti in particolari orari, o a tariffe ridotte. Certo, ancora non riesce a soddisfare i requisiti di Acare, ma quanto a riduzione delle emissioni, al momento dell’entrata in servizio GEnx sarà il leader mondiale", sottolinea Giordano.
Per andare oltre, sarà necessario intervenire sull’architettura vera e propria dei motori. Quella di GEnx, per esempio, è ancora piuttosto tradizionale: è un cosiddetto turbofan, il classico motore a turbina con un grosso ventolone intubato, come quelli che vediamo in aeroporto. Gli ingegneri sono però già al lavoro sui motori di nuova generazione: i geared turbofan (turbine con riduttori meccanici, un po’ come le marce delle automobili ) e gli open rotor (con un’enorme ventola all’esterno, una sorta di compromesso fra motore a elica e a turbina). Entrambe le soluzioni consentirebbero un progresso decisivo verso gli obiettivi di Acare, anche se gli ostacoli da affrontare sono tanti. "Nel caso dei geared turbofan, lo scoglio da superare è che le trasmissioni meccaniche sono intrinsecamente meno affidabili. Ecco il problema: come introdurre una trasmissione meccanica senza intaccare l’affidabilità? L’open rotor, d’altro canto, è quello che garantirebbe i consumi minori, ma rispetto all’elica intubata ha lo svantaggio di produrre maggior rumore. E qui si pone un altro dilemma: meglio preservare l’aspetto globale, dunque meno emissioni", si chiede Giordano, "o quello locale, dunque meno rumore?".
Ma è dal fronte materiali che stanno arrivando le maggiori soddisfazioni. Il mercato li chiede resistenti alle alte temperature e leggerissimi, visto che ogni grammo di peso incide sui consumi, e di conseguenza sulle emissioni. I costruttori rispondono con soluzioni hi-tech, nelle quali elementi più o meno comuni vengono miscelati a formare mix dalle proprietà strabilianti. È il caso di alluminio e titanio, per esempio, dai quali si ottiene l’alluminuro di titanio, un composto adottato per le pale delle turbine di GEnx. "È in grado di reggere a temperature attorno ai 750 gradi, permettendo al tempo stesso un risparmio di circa il 50 per cento, in termini di peso, rispetto ai materiali usati in precedenza, come la lega di nichel".
Ma non ci sono solo gli ingredienti a far la differenza: nelle ricette per i gli aerei del futuro un ruolo cruciale lo giocherà sempre più il modo in cui i materiali vengono assemblati. E qui la sigla magica sulla quale sono puntati gli occhi degli ingegneri è Am, additive manufacturing: costruire i pezzi meccanici non più in serie, con stampi e colate, ma uno a uno, fondendo fra loro minuscoli granelli di polvere metallica fino a ottenere la forma desiderata. Nei processi di lavorazione meccanica tradizionali, per costruire un oggetto si parte da una sostanza liquida, o duttile, e colandola in uno stampo - o modellandola, per esempio per estrusione - le si impone una forma. Oppure, si procede per sottrazione, asportando materiale, come farebbe uno scultore con un blocco di marmo. Proprio il contrario di quanto avviene nella fabbricazione additiva: qui il materiale si aggiunge un poco alla volta, fino a ottenere la forma desiderata.
I vantaggi sono molteplici. Rispetto alle tecniche per sottrazione, i processi additivi producono pochissimi scarti, permettendo così un risparmio sulle materie prime. Non solo: assemblando l’oggetto strato per strato, consentono di creare forme con strutture interne complesse. "È la tecnica del futuro", garantisce Giordano: "Perché è quella che permette di realizzare il rapporto buy-to-fly, ovvero fra il materiale che compro rispetto al materiale che poi effettivamente volerà, in assoluto più favorevole. Dunque riduzione dei costi, ma anche un vantaggio ecologico ed energetico enorme: la polvere che avanza, infatti, la possiamo riciclare immediatamente. Questo offre prospettive decisamente interessanti".
Il mercato potenzialmente è enorme, visto che tutte le compagnie guardano con estremo interesse alla rivoluzione tecnologica in atto. Comprese le low cost, che, sottolinea De Matteis, non usano affatto aerei low cost: "Ryan Air, per esempio, usa aeroplani modernissimi, proprio perché devono mantenere bassi i costi. E gli aeroplani moderni consumano meno degli aeroplani vecchi. Dunque non assocerei affatto il discorso basso costo con la bassa tecnologia delle macchine, anzi: direi che è quasi il contrario. Se si vanno a vedere gli acquisti previsti per le grandi compagnie low cost, hanno una serie di ordini in programma che fa impressione. Tutti di macchine nuovissime".
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Made in Italy all’avanguardia -
Additive manufacturing: promette di essere la gallina dalle uova d’oro dell’aeronautica del futuro. E l’Avio ha appena acquisito una piccola impresa che ne ha fatto la sua missione. Immerso fra le risaie di San Pietro Mosezzo, in provincia di Novara, lo stabilimento di AvioProp, con i suoi 200 metri quadrati scarsi, rispetto a quel transatlantico che è la casa madre pare un piccolo tender. Ma le tecnologie che ospita sono quelle che potrebbero consentire l’approdo alla componentistica aeronautica del futuro. "Qui copiamo la natura", dice l’amministratore delegato, Paolo Gennaro, indicando con orgoglio i suoi "dipendenti": un parco di nove super-stampanti 3D, grandi ciascuna poco più d’un grosso frigorifero, che nel complesso consumano appena 1.800 euro al mese di corrente, con emissioni irrilevanti e appena il 2 per cento di materiale scartato. Grazie a raggi laser e fasci d’elettroni controllati via software, modellano 24 ore su 24 polveri d’ogni genere: dal nylon rinforzato con carbonio a materiali compositi come, appunto, l’alluminuro di titanio o il cromo-cobalto.
Gli oggetti che sfornano sono i più disparati. Dalle coppe acetabolari in titanio
per le protesi d’anca a parti per le sospensioni delle auto da corsa. Ciò che più colpisce, di questi oggetti, è l’aspetto: stranamente organico, con curve naturali e strutture che si ripetono quasi fossero un frattale. Per il settore aeronautico,
al momento si limitano ai pezzi non critici, come le cerniere per le porte degli elicotteri. Ma entro il 2012, una volta superati tutti i collaudi, contano di poter vendere anche componenti critici: turbo-pompe per razzi spaziali, iniettori e pale per turbine per i motori di nuova generazione.