Wanda Marra, il Fatto Quotidiano 1/7/2011, 1 luglio 2011
ONOREVOLI PENSIONATI QUANDO LA VECCHIAIA È D’ORO
Un giorno in Parlamento può valere 1733 euro (3108 lordi) di pensione. E non è pura teoria, accade davvero. L’avvocato radicale Luca Boneschi, fondatore del centro Piero Calamandrei, arrivò in Parlamento il 12 maggio 1982, solo per dimettersi il 13 maggio 1983. Un record, seguito da poco da quello di altri due colleghi radicali: Angelo Pezzana (attivista omosessuale), che arrivò a Montecitorio il 6 febbraio del ‘79 e si dimise il 14 e lo storico Pietro Craveri, sul suo scranno dal 2 al 9 luglio del 1987. Esperienze lampo, sufficienti però a maturare il vitalizio da parlamentari. Privilegi “gravi sia per il valore materiale che per il valore morale”, come denuncia Mario Giordano, ex direttore di Studio Aperto, che alle “pensioni d’oro che ci prosciugano le tasche” ha dedicato anche un libro, Sanguisughe.
QUESTIONI che tornano d’attualità soprattutto in questi giorni, mentre il Consiglio dei Ministri vara la manovra dei sacrifici e delle lacrime e sangue per tutti. Sì perché ci sarebbero dovute essere due misure dedicate proprio alla questione delle pensioni d’oro: inizialmente era previsto un prelievo del 5 per mille su chi incassava dai 9mila euro in su, oltre all’abolizione dei vitalizi per parlamentari e consiglieri regionali. Misure poi sparite. Da notare che per pagare le pensioni degli ex parlamentari, la Camera spende ben 138 milioni e 200 mila euro l’anno, mentre il Senato 81 milioni e 250 mila euro. Senza contare le pensioni d’oro dei manager: Mauro Sentinelli, l’ex Telecom, arriva a prendere 90mila euro al mese (come denuncia ieri il Giornale). Quello dei vitalizi dei parlamentari è un’annosa questione. Per i Radicali, protagonisti con Boneschi, Craveri e Pezzana dei casi più eclatanti, l’alternanza era una questione di metodo democratico: entravano gli eletti e poi, dopo un periodo di tempo stabilito, si dimettevano a favore dei loro colleghi. Peccato però che bastava che i parlamentari dimissionari pagassero i contributi per tutta la durata della legislatura che avrebbero dovuto compiere, per garantirsi la pensione. Peraltro, fino ad ora non c’è mai stata una proposta di legge per abolire i vitalizi che sia riuscita a sfondare l’autoconservazione della casta. I casi “eclatanti” si sprecano: la vedova di Arturo Guatelli, designato senatore nel 1983 l’ultimo giorno della legislatura, per la scomparsa di Tommaso Morlino, riceve la pensione da parlamentare del marito, raggiunta senza mai essersi di fatto seduto al Senato. Che dire poi di Toni Negri, che in Parlamento ci rimase solo 64 giorni, prima di darsi alla latitanza e che il vitalizio lo riceve dal 1993? Paolo Prodi, fratello di Romano: è stato in Parlamento 126 giorni per maturare la medesima pensione minima (3.108 euro).
SENZA CONTARE che in virtù dei complicatissimi e varie volte modificati regolamenti della Camera (una stretta c’è stata nel 2007 con i nuovi regolamenti varati sotto il governo Prodi, che hanno stabilito una stretta sia dal punto di vista dell’entità del vitalizio che del tempo necessario per acquisirlo) più anni si siede in Parlamento, prima si arriva alla pensione. Qualche esempio: Antonio Martusciello, Fi, 48 anni, dal 1° maggio 2008, intasca 7.959 euro lordi al mese di vitalizio. Lo stesso avviene per Rino Piscitello, Pd, 49 anni e mezzo e pure lui ha 4 mandati. O Alfonso Pecoraro Scanio (Verdi), 16 anni di mandato effettivo, vitalizio di 8.836 euro lordi al mese.