1 luglio 2011
SCHEDONE CONTRATTI
Martedì sera, verso le 21.30,, alla fine di un incontro durato più di sei ore Confindustria, Cgil, Cisl e Uil e Ugl hanno annunciato di avere raggiunto un’intesa sui temi della rappresentanza sindacale e la validità dei contratti.
Al vertice c’erano: per Confindustria il presidente Emma Marcegaglia, il suo vice Alberto Bombassei, il direttore generale Giampolo Galli; per la Cgil il segretario Susanna Camusso; per la Cisl Raffaele Bonanni; per la Uil Luigi Angeletti.
La firma dell’accordo è stata anticipata di una ventina di minuti da una nota con i ringraziamenti alle parti sociali del ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Una tempistica che ha abbastanza innervosito Camusso.
Per diventare valido l’accordo andrà ratificato nei prossimi giorni dai comitati direttivi dei sindacati.
L’accordo
L’Intesa è in otto punti:
1. Rappresentatività: un contratto nazionale può essere negoziato solo dai sindacati che rappresentano almeno il 5% dei lavoratori della categoria interessata. La rappresentatività sarà determinata tenendo conto delle deleghe (le iscrizioni al sindacato certificate dall’Inps e trasmesse al Cnel) e dei voti nelle elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie (Rsu).
2. Contratto nazionale: il Ccnl (Contratto collettivo nazionale del lavoro) resta la “cornice” dei contratti dei lavoratori di un settore. E garantisce trattamenti economici e normativi comuni.
3. Contratto aziendale approvato dalle Rsu: quando le Rsu approvano un contratto questo è efficace per tutti i lavoratori e vincolante per tutti i sindacati.
4. Contratto aziendale approvato dalle Rappresentative sindacali aziendali (le Rsa): se le Rsa (che non sono elette, ma sono nominate per 3 anni) firmano un contratto aziendale, perché questo sia valido serve il voto dei lavoratori, che lo devono approvare con il 50% + 1 dei voti.
5. La tregua sindacale: un contratto aziendale definisce clausole che impongono l’esigibilità degli impegni assunti. Queste clausole sono vincolanti per i sindacati ma non per i singoli lavoratori.
6. I contratti aziendali già conclusi sono validi anche se contentono “intese modificative” del Ccnl su prestazioni, orari e organizzazione del lavoro.
7. I contratti futuri potranno operare modifiche rispetto al Ccnl per “esigenze di specifici contesti produttivi”. Nel testo non compare la parola “deleghe”.
8. Confindustria e sindacati chiedono al governo di continuare a incentivare la contrattazione di secondo livello attraverso riduzione delle tasse e dei contributi.
Il ritorno all’unità
Erano 4 anni che i sindacati confederali non firmavano un accordo unitario. L’ultima intesa, nel 2007 con in carica il governo Prodi, riguardava il protocollo sul Welfare.
In particolare la Cgil non ha firmato la cornice quadro dell’accordo sulla contrattazione nazionale siglato da Confindustria, Cisl e Uil nel gennaio 2010 (l’intesa fu raggiunta a fine 2009).
Infatti per il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, la cosa che più conta nella nuova intesa è “il superamento della stagione di divisione tra noi sindacati”. Camusso ha sottolineato come siano state “sottoscritte anche norme di democrazia che superano una lunga stagione di incertezza”.
Il nodo Fiom
La Firma della Cgil ha riaperto il fronte interno alla Cgil, dove i metalmeccanici della Fiom sono infuriati. Il direttivo del sindacato è fissato per l’11-12 luglio.
«L’accordo non ci piace» dice Maurizio Landini, numero uno Fiom. Spara a zero il suo precedessore, Gianni Rinaldini: «Sono successe cose che la Cgil non ha mai fatto. Si sta minando l’identità stessa della Cgiv». Il "duro" Cremaschi si spinge a chiedere le dimissioni della Camusso.
I punti contestati dalla Fiom sono:
1. Manca il voto dei lavoratori per approvare gli accordi
2. Si apre alla derogabilità del contratto nazionale attraverso accordi aziendali, tra l’altro decisi non dai lavoratori ma dalla maggioranza delle Rsu (rappresentanze sindacali unitarie) o delle Rsa (rappresentanze sindacali aziendali).
3. Più in generale la Fiom accusa il segretario Cgil di essersi arresa alle esigenze della Fiat
Camusso ha risposto alle accuse dicendo che quelle della Fiom sono "affermazioni false e imprecisioni". Ad esempio "quando si dice che Rsu e Rsa sono la stessa cosa, è falso".
Fiat
Le mosse di Marchionne, che ha portato fuori da Confindustria le Newco di Fiat di Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco, sono quelle che hanno spinto industriali e sindacati a cercare una nuova intesa. Forse non è servito, infatti ieri è stato diffuso il contenuto di una lettera inviata da Marchionne (come Fiat Spa e Fiat Industrial) a Marcegaglia. Marchionne si complimenta per l’intesa raggiunta ma spiega che questo accordo non è sufficiente a garantire la permanenza di Fiat all’interno del sistema Confindustria
Quindi se non ci saranno "nei prossimi mesi ulteriori passi che consentano di acquisire quelle garanzie di esigibilità necessarie per la gestione degli accordi raggiunti per Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco" allora "Fiat e Fiat Industrial saranno costrette ad uscire dal sistema confederale con decorrenza 1 gennaio 2012".
La Marcegaglia ha risposto subito che "l’accordo non può essere rimesso in discussione". E se a Fiat non sta bene, allora chieda un "intervento lagislativo con effetto retroattivo, che, in quanto tale, non è nella disponibilità di Confindustria".
“Fiat non è coperata da questo accordo” aveva chiarito subito dopo la firma Camusso, per difendersi dagli attacchi della Fiom.
Sembra che per venire incontro alle richieste della Fiat, Marcegaglia abbia cercato d’inserire durante la trattativa una clausola di retroattività che la Cgil ha però respinto.
La politica
L’accordo ha incassato apprezzamenti sia dal centrosinistra che dal centrodestra.
Particolarmente importante che l’intesa esclude la necessità di un intervento legislativo. Il patto infatti impegna le parti senza coinvolgere le leggi (e nemmeno l’art. 39 della Costituzione, quello sui sindacati) e sulla “terzietà” rispetto alla politica aveva molto insistito Bonanni.
Anche la maggior parte degli economisti si sono mostrati convinti.
Tito Boeri “L’accordo rafforza il peso della contrattazione decentrata, azienda per azienda. Lo fa stabilendo che i contratti nazionali possano contenere "clausole d’uscita" come quelle in vigore ormai da vent’anni in Germania. Offrono alla contrattazione aziendale la possibilità di derogare ai minimi salariali fissati dalla contrattazione nazionale «al fine di gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti significativi per favorire lo sviluppo economico e occupazionale dell’impresa». È la clausola che ha permesso alle imprese dell’Est della Germania di contenere le emorragie occupazionali dopo l’unificazione e che, durante la Grande Recessione ha permesso di evitare massicce perdite di posti di lavoro (in Germania la disoccupazione è addirittura diminuita nel 2009!) grazie a scambi virtuosi fra, da una parte, riduzioni di orari e salari e, dall’altra, mantenimento dei livelli occupazionali”.
Carlo Dell’Aringa: “L’aspetto più positivo riguarda il tema della rappresentatività. Nei prossimi mesi vedremo l’applicazione concreta delle nuove regole, ma mi pare si possano aprire le porte a un accordo completo che includa la Cgil. Siamo tornati allo spirito del 1993 e questo è il dato più significativo, perché si sancisce la fine della stagione delle divisioni”.
Michele Tiraboschi: “È rilevante che le parti abbiano raggiunto un’intesa che appare in tutto e per tutto autosufficiente. Nel senso che - salvo un appropriato richiamo alla necessità di rendere strutturale la vigente normativa di incentivazione fiscale della contrattazione di secondo livello - industriali e sindacati non hanno previsto la necessità, e forse neppure l’opportunità, di alcun intervento legislativo di sostegno o recezione dei contenuti dell’accordo. Tantomeno di attuazione dell’articolo 39 della Costituzione”.
Giampaolo Galli vede soprattutto due aspetti innovativi. Il primo attesta che "i contratti collettivi aziendali per le parti economiche e normative sono efficaci per tutto il personale e vincolano tutte la associazioni sindacali firmatarie dell’accordo interconfederale operanti all’interno dell’azienda se approvati dalla maggioranza dei componenti delle rappresentanze sindacali unitarie elette". Il secondo prevede che "i contratti collettivi aziendali possono pertanto definire, anche in via sperimentale e temporanea, specifiche intese modificative delle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali".