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 2011  giugno 29 Mercoledì calendario

Comunismo, utopia da letteratura - «In gioventù, come molti scrittori della mia generazione» - ha ricordato Mario Vargas Llosa nel suo discorso d’accettazione del Premio Nobel per la letteratura, pronunciato a Stoccolma il 7 dicembre 2010 (Elogio della lettura e della finzione, Einaudi, pp

Comunismo, utopia da letteratura - «In gioventù, come molti scrittori della mia generazione» - ha ricordato Mario Vargas Llosa nel suo discorso d’accettazione del Premio Nobel per la letteratura, pronunciato a Stoccolma il 7 dicembre 2010 (Elogio della lettura e della finzione, Einaudi, pp. 44, 8,00 euro) - «sono stato marxista e ho creduto che il marxismo sarebbe stato il rimedio giusto per combattere le ingiustizie sociali che opprimevano il mio paese, l’America latina e il resto del Terzo Mondo. Il mio allontanamento dallo statalismo e dal collettivismo e il mio passaggio al democratico e al liberale quale ora sono fu lungo, difficile e richiese tempo, a causa della trasformazione della rivoluzione cubana, che agl’inizi m’aveva entusiasmato, verso il sistema autoritario e gerarchico dell’Unione sovietica, le testimonianze dei dissidenti che riuscivano a fuggire dai reticolati del Gulag, l’invasione della Cecoslovacchia da parte dei paesi aderenti al Patto di Varsavia, e grazie a intellettuali come Raymond Aron, Jean-François Revel, Isaiah Berlin e Karl Popper, ai quali devo la mia rivalutazione della cultura democratica e delle società aperte. Quei maestri rappresentarono un esempio di lucidità e di coraggio quando l’intellighenzia dell’Occidente pareva, per leggerezza o per opportunismo, soccombere al fascino del socialismo sovietico o, ancor peggio, al sanguinoso sabba della rivoluzione culturale cinese». Ma il comunismo, dopotutto, è stato sempre letteratura, salvo che là dove veniva messo in pratica, a Cuba oppure in Urss. Anche Vargas Llosa, come gli adolescenti che in tutto il pianeta, prima o poi, hanno attraversato la loro fase marxleninista, così come da bambini tutti attraversiamo una volta o l’altra la fase salgariana o disneyana, ha visto nel marxismo e nelle avventure del movimento rivoluzionario internazionale un grande repertorio di voyages extraordinaries sociali. «Flaubert», scrive ancora Vargas Llosa, «mi ha insegnato che il talento significa disciplina tenace e grande pazienza. Faulkner che è la forma - la scrittura e la struttura - ciò che esalta o impoverisce le trame. Martorell, Cervantes, Dickens, Balzac, Tolstoj, Conrad, Thomas Mann che il ritmo e l’ambizione sono importanti in un romanzo quanto l’abilità stilistica e la strategia narrativa. Sartre che le parole sono azioni e che un romanzo, un’opera teatrale, un saggio, legati all’attualità e a più alti obiettivi, possono cambiare la storia. Camus e Orwell che una letteratura priva di morale è inumana, e Malraux che l’eroismo e l’epica sono presenti nell’attualità così come al tempo degli argonauti, dell’Odissea e dell’Iliade». Anche il comunismo, nella sua forma più innocua, quella di classico della letteratura, gli ha insegnato qualcosa, per esempio la passione per la giustizia, sia pure deformata dalla propaganda, come si legge nella sua autobiografia, Il pesce nell’acqua, Libri Scheiwiller, pp. 616, 24,00 euro, e persino nei suoi pezzi giornalistici cubaneggianti degli anni Sessanta raccolti in un magnifico libro, primo d’una serie: Epitaffio per un impero culturale. Contro vento e marea 1, Libri Scheiwiller, pp. 168, 18,00 euro. «Quando la grande balena bianca affonda in mare il Capitano Achab, il cuore dei lettori freme tanto a Tokyo, quanto a Lima o a Timbuctù», scrive Vargas Llosa. Moby Dick è un’allegoria universale: tutte le utopie pratiche, in primis le baleniere reclutate nella guerra contro il male metafisico, ma comprese anche le utopie egualitarie, sono destinate a inabissarsi nel mare degli eventi storici. Inaffondabili sono unicamente le utopie che accettano di restare letteratura e si vietano (come dice il filosofo) ogni proposito. «Così come scrivere, leggere è protestare contro le ingiustizie della vita», ha detto ancora Vargas Llosa a Stoccolma, il 7 dicembre scorso. «Chi cerca nella finzione ciò che non ha, dice, senza la necessità di dirlo, e senza neppure saperlo, che la vita così com’è non è sufficiente a soddisfare la nostra sete d’assoluto, fondamento della condizione umana, e che dovrebbe essere migliore». Sempre tenendo presente (con le parole d’Alphonse de Lamartine nel suo saggio sui Miserabili, una citazione che Vargas Llosa pone a epigrafe del suo La tentazione dell’impossibile, Scheiwiller, pp. 216, 20,00 euro) «la più omicida e la più terribile delle passioni che possono essere suscitate nelle masse è la passione per l’impossibile».