Giovanna Gabrielli, il Fatto Quotidiano 29/6/2011, 29 giugno 2011
IL FATTO DI IERI - 29 GIUGNO 1989
Angelo Costa era uno che “quando parlava licenziava sempre qualcuno”. Taviani un “immobile ed eterno”. Forlani “una tanica vuota”. Camei d’autore, firmati Fortebraccio, “nom de plume” shakespeariano inventato da Maurizio Ferrara per Mario Melloni, il ragazzo terribile dell’Unità che, nei suoi corsivi col bollino rosso, stanò e fulminò tutti i big della primissima Repubblica. Inchiodandoli, con bon ton urticante, alle loro colpe, tic e imperfezioni, anche quelle esteriori, se spie di pecche culturali e di stile. Dai tormentoni sulle vittime predestinate, ai ritrattini feroci tutti giocati di fioretto e sciabola, mai un filo di sconto per nessuno. Leader carismatici, vip di passaggio, burocrati “cuccagnoni” ricchi, potenti, tutta la vita pubblica nazionale scorre nel menu satirico di Fortebraccio, antifascista doc, elegante nel maneggiare la sua cultura di parte senza sconfinare nella faziosità, caustico pur nel suo stile salottiero, perfido con leggerezza anche nei giudizi più crudeli. Alla fine, il destino e la malattia gli tolsero la parola. Un supplizio infinito per un conversatore smagliante come lui. A 22 anni dalla sua morte, quel rendez-vous quotidiano con “lor signori” ci manca molto.