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 2011  giugno 30 Giovedì calendario

Razza e nazismo, ecco il Céline maledetto - Da tempo ormai sappiamo, sulla base di docu­menti, di ricer­che d’archivio, di riscontri incro­ciati, di epistolari rimasti a lun­go sepolti, che la qualifica di «collaboratore», per Louis-Fer­dinand Céline (1894-1961), era pertinente

Razza e nazismo, ecco il Céline maledetto - Da tempo ormai sappiamo, sulla base di docu­menti, di ricer­che d’archivio, di riscontri incro­ciati, di epistolari rimasti a lun­go sepolti, che la qualifica di «collaboratore», per Louis-Fer­dinand Céline (1894-1961), era pertinente. Céline «collaborò», non si limitò a scrivere qualche lettera ai giornali: rivendicò l’aver capito prima degli altri il disastro che si preparava per il suo Paese;rivendicò l’aver chie­sto un’alleanza franco- tedesca; rivendicò la necessità di uno scontro all’ultimo sangue con­tro bolscevismo e democrazie li­berali; rivendicò una linea di condotta recisa contro gli ebrei; auspicò una Francia razzial­mente pura, nordica, separata geograficamente dal suo Sud meticcio e mediterraneo... Scel­se con attenzione i giornali do­ve far apparire le sue provoca­zioni, ne seguì la pubblicazio­ne, se n’ebbe a male quando qualche frase troppo forte gli venne tagliata, polemizzò aspramente. Fra il 1941 e il 1944 scrisse una trentina di lettere, oggi per la pri­ma volta tradotte in Italia, com­p­resa quella relativa alla separa­zione geografico-razziale della Francia già ricordata, e che non venne pubblicata perché rite­nuta «eccessiva» dalla direzio­ne di Je suis partout ; rilasciò una dozzina di interviste, ripub­blicò i suoi pamphlet , partecipò a conferenze, tenne contatti con le autorità tedesche. E però aveva qualche fondamento di verità la sua linea di difesa del «non aver collaborato». Perché non fu nel libro paga di giornali o movimenti, perché la critica militante nazista trovava trop­po nichilista il suo pensiero, per­ché in sedute conviviali più o meno pubbliche la sua vena esplodeva sinistra, prefiguran­do scenari catastrofici e rese di conti epocali, perché si adope­rò per salvare qualche vita e omise di denunciare qualche gollista poco smaliziato, e per­ché alla fine sembrò che con i tedeschi avesse fornicato solo lui. Cantore, di parte, di un conti­nente messo a ferro e a fuoco in un epocale regolamento di con­ti, sotto le mentite spoglie del cronista Céline racconta la fine di un’idea di Europa cui ha cre­duto e per la quale si è battuto: razziale, antidemocratica, pani­ca e pagana, anti-moderna e mi­tica. Scrittore anti-materialista, Céline cercò di combattere il materialismo usando uno stru­mento, la razza, altrettanto ma­teriale e, come tale, incapace di cogliere differenze di valori e di sensibilità. L’ideale ariano che egli propugna, l’abbiamo visto, fino a voler dividere la Francia in due, una suralgerina, l’altra nordica, e che altri si incariche­ranno di mettere bestialmente in pratica, si trasformerà in bef­fa allorché, dopo essere stato imprigionato in Danimarca, si troverà a scrivere: «Merda agli ariani. Durante 17 mesi di cella non un solo dannato fottuto dei 500 milioni di ariani d’Europa ha emesso un gridolino in mia difesa. Tutti i miei guardiani era­no ariani!». Quando si predica la purezza c’è sempre qualcu­no che si crede più puro di te. L’ebreo, nell’allucinazione celiniana, finisce però col per­dere un’identità razziale preci­sa, finisce con il trasformarsi in un simbolo: ebreo è il clero bre­tone, ebreo il conte di Parigi, ebreo è Maurras, ebreo il Papa, ebrei i re di Francia, ebrei gli atei, ebreo Pétain. Gli ebrei so­no tutti, anche Céline.... È l’op­posto di quell’«uomo nuovo», di quel «barbaro ritrovato» di cui si fa alfiere... Ma dietro al raz­zismo c’è anche una questione di stile, come la lettera su Mar­cel Proust alla Révolution natio­nale di Lucien Combelle, del febbraio 1943, mette bene in evi­denza: «Lo stile Proust? È sem­plicissimo. Talmudico. Il Tal­mud è imbastito come i suoi ro­manzi, tortuoso, ad arabeschi, mosaico disordinato. Il genere senza capo né coda. Per quale verso prenderlo? Ma al fondo in­finitamente tendenzioso, ap­passionatamente, ostinata­mente. Un lavoro da bruco. Pas­sa, viene, torna, riparte, non di­mentica nulla, in apparenza in­coerente, per noi che non sia­mo ebrei, ma riconoscibile per gli iniziati. Il bruco si lascia die­tro, come Proust, una specie di tulle, di vernice, che prende, sof­foca riduce e sbava tutto ciò che tocca - rosa o merda. Poesia proustiana. Quanto alla base dell’opera: conforme allo stile, alle origini, al semitismo: indivi­duazione delle élites imputridi­te, nobiliari, mondane, invertiti eccetera, in vista del loro massa­cro. Epurazioni. Il bruco vi pas­sa sopra, sbava, le fa lucenti. I carri armati e le mitragliatrici fanno il resto. Proust ha assolto il suo compito». Conclusione: nel 1943 l’autore della Recher­che avrebbe applaudito la scon­fitta tedesca a Stalingrado...