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 2011  giugno 30 Giovedì calendario

Quei teoremi inventati dai pm che ribaltano la verità dei fatti - In uno Stato non di diritto tutte le cose non hanno il loro nome

Quei teoremi inventati dai pm che ribaltano la verità dei fatti - In uno Stato non di diritto tutte le cose non hanno il loro nome. Le vittime appaiono carnefici, e i carne­fici vittime. I giudici compiono i reati e gli innocenti vengono processati. È mai possibile che su giornali che do­v­rebbero raccontare i fatti si leggano ricostruzioni palesemente false o in­ventate, in virtù dell’interpretazione e della ricostruzione di alcuni magi­­strati che mentono non chiamando le cose con il loro nome? Da una par­te si legge: «Ad Arcore il bordello del premier. Il magistrato dice che non intendeva dirlo».Ma l’ha detto.E co­sì il giornalista ha inteso.Da un’altra parte si legge: «Ambra e Chiara vitti­me di Arcore, costrette da Fede ai party col premier». È vero? No, è fal­so. Ma quella che noi leggiamo è l’in­­terpretazione di una giudice, Maria Grazia Domanico, che accoglie, e of­fre loro lo strumento della legge, l’evi­dente strumentalizzazione di due ra­gazze facendole passare per vittime di una macchinazione inesistente da semplici invitate a cena, che dopo qualche mese denunciano di aver sofferto per trarre vantaggio da una situazione dalla quale non hanno tratto i benefici sperati. E allora ecco mettere sul mercato il loro stato d’animo,trovando facile ascolto,nel loro evidente travestimento. Non ci si vuol credere: nessuno ha chiesto loro niente eppure esse, pro­caci e provocanti ai concorsi di bel­lezza, si mostrano castigate, mutano d’abito e,per essere state a una cena, ignorate e non sollecitate a nessuna azione o prestazione, lamentano «un danno d’immagine e perfino pa­­trimoniale, con conseguente caduta delle opportunità lavorative, costitu­ito dalla profonda sofferenza subita per essere state considerate al pari di meretrici». Una pura invenzione, contro ogni evidenza, e smentita da una delle «sconvolte» che, come il Giornale ha raccontato, si era vera­mente venduta, minorenne, a un ric­co imprenditore ultrasessantenne in cambio di migliaia di euro come tariffa per i rapporti sessuali e con la dotazione di un appartamento. Scrive bene una donna che ama le donne, Maria Giovanna Maglie: «Mi dispiace, le vittime, le donne vittime, sono altre. Se il gup, che è una don­na, ha creduto di fare una bella cosa femminista, ha sbagliato due volte». Si può dunque ritenere che sia stata considerata «al pari di meretrice» chi è meretrice? Nei fatti è avvenuto l’opposto: non è stata considerata al pari di una meretrice chi era disponi­bile ad esserlo. Eccole dunque trave­stite da vittime, con l’aggravante di mortificare al ruolo di «fidelizzato­re » un vecchio giornalista che ha por­tato a cena due ragazze dal più im­portante imprenditore televisivo del­la nazione, dal quale sarebbero ov­viamente corse per ottenere qual­che vantaggio che non hanno avuto. Le disgraziate (non sventurate) ri­sposero. E questa è la frontiera mila­nese dove lo Stato è­piegato nel ritua­le della falsificazione dei fatti e il pre­sidente del Consiglio è offeso, dileg­giato, trattato come un vecchio mal vissuto che trasforma la propria casa in bordello. Mi pare sufficientemen­te diffamatorio contro la persona e contro la funzione per imporre al ca­po dello Stato un’insorgenza mora­le, indifesa dell’evidenza. Ed entria­mo nel merito. È un reato mantene­re una donna? È un reato mantenere due donne? È un reato mantenere tre donne? È un reato mantenere quattro donne? È un reato mantene­re cinque donne? Non è evidente che quelle chiamate, e insultate, pro­stitute sono amiche che decidono della loro vita e possono essere man­tenute come altrettante amanti in rapporto non all’etica cristiana, ma alla liberalità, al piacere, al diverti­m­ento di un uomo potente che deci­de della propria vita, dei propri piace­ri e dei propri divertimenti? Chi si può permettere una barca, case in di­versi luoghi del mondo potrà decide­re di mantenere chi gli pare? E potremo pretendere che il giudi­z­io morale non determini un’inchie­sta giudiziaria senza fondamento, che trasforma il piacere in reato, la generosità in prostituzione? Poteva­no Pasolini, Visconti, Moravia vivere come volevano? O dovevano rispon­dere a un tribunale del popolo e ve­dere chiamati i loro amici e le loro amiche puttane? Qui non è in gioco la privacy, ma la vita. La decisione di ognuno, e di ognuna, di viverla co­me vuole, anche per puro piacere e per puro interesse. Quante sono le donne (e gli uomini) mantenuti in Italia? È un reato? E aspirare a esser­lo è meretricio? L’altra frontiera di rovesciamento della verità e di violenza pubblica e privata è, come è evidente, l’inchie­sta sulla cosiddetta P4 ( associazione segreta alla quale nessuno sapeva di appartenere, e denominata in tal modo dai magistrati per insinuare una relazione con la infamante P2). Nulla, se non i teoremi dei magistrati in una parossistica esibizione di stu­pidaggini, e, ancora, il ribaltamento della verità. Il magistrato chiede per­ché Bisignani dava consigli, perché cercava di sostenere la maggioranza di governo. E arriva la domanda fina­le, rivelatrice: «Ma ci vuole spiegare qual era il suo interesse in tutto que­sto? ». Ecco la chiave di tutto. Per ave­re o sostenere un’idea politica per magistrati come questo occorre un interesse. Non si può avere un’idea senza interesse? Essere convinti che una parte (come pensano quelli iscritti a un«partito»)è meglio dell’al­tra? Non si possono più avere idee politiche perché ci si crede? Bisignani come tanti a destra e a si­nistra poteva non agire per interesse ma per convinzione. Ma la magistra­tura decide. E i magistrati insistono, intimidiscono. Così che quando Bisi­gnani dopo tanti nomi deve fare an­che quelli di qualcuno di loro, il suo tono si fa felpato e preoccupato. Ed è a tal punto intimidito da chiedere scusa: «Avevo fatto il nome di un se­rissimo magistrato di Bari (Laudati) e chiedo scusa, ma devo continuare a fare dei nomi che ho fatto nella più totale buona fede», eccolo mettere le mani avanti. E infine chiudere: «C’era Arcibaldo Miller,che era ami­co suo, e, diceva Papa, anche del dot­tor Woodcock... Mi dispiace». Con gli elementi che abbiamo e l’inchie­sta per contagio, Woodcock dovreb­be allargare l’indagine anche a se stesso. Mi dispiace... la legge è ugua­­le per tutti. Ma quando si tratta di ma­gistrati Bisignani o non è attendibile, o ha paura. Così va il mondo tra Mila­no e Napoli. Ovunque immondizia.