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 2011  giugno 29 Mercoledì calendario

Scienziati, attenti: non diventate stregoni - Parlare di scienza in modo libero, anche avanzando critiche a certi aspetti della ri­cerca contempora­nea, è diventato oggi sempre più difficile e persino peri­coloso: quasi certamente s’incor­rerà nell’accusa di essere nemici della scienza e della ragione e di appartenere alla congrega dei mi­stici e delle fattucchiere

Scienziati, attenti: non diventate stregoni - Parlare di scienza in modo libero, anche avanzando critiche a certi aspetti della ri­cerca contempora­nea, è diventato oggi sempre più difficile e persino peri­coloso: quasi certamente s’incor­rerà nell’accusa di essere nemici della scienza e della ragione e di appartenere alla congrega dei mi­stici e delle fattucchiere. Tanto più è importante che una visione critica venga proposta da due scienziati militanti come Ales­sandro Giuliani (ricercatore al­l’Istituto Superiore di Sanità) e Carlo Modonesi (specialista in biodiversità ed evoluzione), auto­ri di Scienza della natura e stregoni di passaggio ( Jaca Book, 2011, eu­ro12), un libro ispirato da un au­tentico amore per la scienza e che intende difendere quel che viene definita la «scienza bella» contro la «scienza brutta», di cui si da su­bito un esempio in apertura con la cosiddetta «creazione della vita ar­tificiale » da parte di Craig Venter. Di fatto,quest’ultima impresa for­nisce l’esempio della scienza più «brutta»di tutte,in quanto pur rea­lizzando un avanzamento nelle pratiche biotecnologiche non ha portato nulla «in termini di nuove conoscenze» e «in termini di nuo­v­e spiegazioni dei fenomeni natu­rali ». Questa valutazione delle ma­nipolazioni di Ve­nter fa subito ca­pire che gli autori difendono a spa­da tratta un’idea di scienza come conoscenza, contro la moda della «scienza-manipolazione»,e affer­mano con forza il principio che, senza avanzamento nella com­prensione dei processi naturali, e quindi senza ricerca di base, non ha senso parlare di scienza. Tanto sono saldi in questa con­vinzione che non hanno timore di prendersela con un mostro sacro come Francesco Bacone, cui rim­proverano il motto « scientia est po­tentia » all’origine di una visione empirista e utilitaristica, cui si con­trappone l’affermazione di Henri Poincaré secondo cui «lo scienzia­to non studia la natura perché è utile, ma perché ne prova piacere e ne prova piacere perché è bella. Se la natura non fosse bella, non varrebbe la pena studiarla e la vita non varrebbe la pena di essere vis­suta ». Va precisato che quando gli au­tori parlano di «bellezza» non in­tendono affatto qualcosa di fumo­so e vago. Non si tratta di una sorta di richiamo sentimentale ed este­tizzante. Al contrario, essi si sforza­no di enucleare dei criteri precisi dell’idea di«bellezza»e gran parte del libro è dedicato a illustrarli con esempi. In tal modo, essi si col­locano in un filone ben definito della scienza che con il riferimen­to al criterio estetico allude a un preciso equilibrio metodologico. Ad esempio, il celebre scienziato John von Neumann, individuava il criterio «estetico» nella formula­zione di un modello matematico nell’esigenza che «in relazione con la quantità di informazione che fornisce debba essere piutto­sto semplice». Una rappresenta­zione molto semplice può essere chiara ma troppo povera, una rap­presentazione molto ricca e arti­colata può essere più aderente al­la realtà ma troppo complicata e quindi inutilizzabile. Giuliani e Modonesi qualificano come mo­di di fare «brutta scienza»l’adesio­ne dogmatica a certi «ismi», come il determinismo, il riduzionismo o la recente moda di proporre teo­rie della complessità tanto verbo­se quanto inconcludenti. Un altro modo di fare «brutta» scienza è di farsi dominare dall’ossessione di andare alla ricerca del sempre più piccolo, sempre «oltre», verso la spiegazione «ultima». Viene in mente la celebre annotazione con cui Pascal si proponeva di «scrivere contro coloro che si ad­dentrano troppo nelle scienze». Erwin Chargaff la commentava ( nel suo Mistero impenetrabile ) os­servando ironicamente che «la profondità di per sé non presenta alcun vantaggio, a meno che non abbia sotto di sé un fondo» e che il rischio è di «dimenticare alla fine le domande cui questa spedizio­ne interminabile avrebbe dovuto dare risposta». Come si è detto, il libro propone un gran numero di esempi di scienza «bella» e «brutta». Non possiamo certo farne un elenco so­­stituendoci alla lettura, ma voglia­mo citare in particolare la «scien­za del destino » e cioè l’ossessione di ricondurre ogni evento della no­s­tra vita materiale e mentale a fatti genetici e quindi a un determini­smo genetico stretto che, come os­servano gli autori, non ha alcun fondamento scientifico serio, es­sendo «il problema della causali­tà biologica un affare tutt’altro che semplice e risolto». Sta di fatto che su questo rozzo determini­smo- diciamo pure fatalismo- cre­sce una tecnoscienza ispirata al mito del controllo totale del desti­no dell’uomo e del mondo. La smania del controllo totale della natura - e, aggiungiamo, sempre più anche del pensiero dell’uomo - è «foriera di disastri», come han­no dimostrato i totalitarismi ispi­rati rispettivamente alle idee della rigenerazione razziale dell’uma­nità e della sua rigenerazione so­ciale. Oggi, ammoniscono gli autori, il rischio totalitario si presenta in modo «infinitamente più subdo­lo », «in quanto si maschera del suo esatto contrario - un mondo di infinite libertà e possibilità sen­za alcun limite - che però, a conti fatti, si trasforma in feroce indivi­dualismo e in controllo spietato della debordante tristezza attra­verso il consumo di merci, di anti­depressivi e di altre false pana­cee ». Perciò, la «brutta» scienza non rischia soltanto di distruggere la scienza propriamente detta la­sciando sulla terra bruciata soltan­to pratiche manipolative prive di orientamento e finalità, se non quella di affermare con un vero de­lirio di potenza che la natura «fat­ta male » debba essere rifatta dac­capo, ma ci consegna la prospetti­va di­un mondo privo di valori au­tenticamente umani.