GABRIELE BECCARIA, La Stampa 29/6/2011, 29 giugno 2011
“Ho trovato le punte di lancia che forgiarono la mente” - E se fossimo tutti gli inconsapevoli discendenti di micidiali punte di lancia, pazientemente studiate per garantire un pasto carnivoro e ammazzare un nemico? Se 100 mila anni fa avessimo incontrato un nostro progenitore Sapiens, l’avremmo riconosciuto subito: a parte l’aspetto sporco e arruffato, saremmo stati colpiti dai lineamenti e dalla corporatura
“Ho trovato le punte di lancia che forgiarono la mente” - E se fossimo tutti gli inconsapevoli discendenti di micidiali punte di lancia, pazientemente studiate per garantire un pasto carnivoro e ammazzare un nemico? Se 100 mila anni fa avessimo incontrato un nostro progenitore Sapiens, l’avremmo riconosciuto subito: a parte l’aspetto sporco e arruffato, saremmo stati colpiti dai lineamenti e dalla corporatura. Uguali ai nostri, rassicuranti, o forse migliori, da atleta palestrato. Ma le somiglianze sarebbero finite lì, perché il cervello racchiuso nella scatola cranica del nostro presunto alter ego era un meccanismo diverso. Produceva un linguaggio solo abbozzato, probabilmente faticava con il pensiero simbolico e non brillava nell’interpretare le emozioni altrui. Un tipo belloccio e ottuso, insomma. Avremmo quindi dovuto fare un ulteriore balzo e visitare una grotta dell’attuale Sud Africa, intorno a 80 mila anni fa, per incontrare un gruppo di Sapiens con i quali tentare di intrecciare brandelli di un rapporto più stretto. E’ intorno a quell’epoca, infatti, che neuroni e sinapsi devono avere assunto la configurazione che ci è famigliare. Il merito - sostiene ora un team svedese della Lund University - sarebbe proprio delle punte di lancia in pietra, trovate in una grotta a 250 chilometri da Cape Town, in una zona chiamata Hollow Rock Shelter: sono magnifiche da vedere e perfette per l’uso a cui erano destinate. Gioielli tecnologici dell’Età della Pietra, eloquenti come può esserlo un iphone dell’Età dell’Elettronica. Mille variabili Lars Larsson e il suo team hanno provato a spiegarsi sul «Journal of Human Evolution». Ci sono antropologi che si interrogano (e litigano instancabilmente) su mille variabili diverse, dal ruolo del fuoco a quello della caccia, dai percorsi delle migrazioni alle variazioni del clima. Sempre tentando di dare una risposta - che suoni più o meno credibile - all’enigma della nascita dell’intelligenza. Stavolta, invece, la sfida è stata lanciata con le analisi microscopiche sui colpi inferti, sulle scheggiature e sulle levigature: ogni punta - agli occhi dei ricercatori svedesi - racchiude una mini-storia di gesti e tecniche e rivela le oscillazioni tra la ricerca della perfezione e la caduta in improvvisi errori. I reperti, a decine, svelano ogni fase di lavoro, tanto da apparire come pezzi di un’arcaica catena di montaggio, in cui la produzione avveniva in serie, secondo modelli preordinati. Se l’interpretazione è corretta, la massa dei frammenti, finiti e non finiti, costituisce la testimonianza di strategie precise, sia mentali sia sociali: furono necessari tempi lunghissimi - scrive Larsson - per elaborare l’insieme di azioni e ragionamenti che trasformarono i primi e timidi tentativi di metamorfosi della pietra in una tecnologia acquisita, da applicare con velocità ed efficienza sempre maggiori. Dev’essere stato un processo snervante di «trials&errors» - prove e fallimenti - che stimolò senza posa i Sapiens, obbligandoli a sforzi intellettuali via via più sofisticati e a interagire in modo creativo con i propri simili. Ogni piccolo progresso e ogni minima scoperta dovevano essere comunicati e spiegati, perché non andassero perduti e non è improbabile che siano stati i bambini a stimolare lo scambio dagli adulti. «La capacità di tradurre l’intelligenza nascente in immaginazione e in rapporti complessi tra individui deve aver avuto un impatto fondamentale sullo sviluppo del nostro essere», osserva Larsson. Che aggiunge: «Gli aspetti genetici e le influenze ambientali sono sempre inestricabilmente collegati». La mente che oggi ci appartiene e si modellò 80 mila anni fa secondo questa interpretazione - si manifesta come un processo cangiante, in cui «ogni generazione cambia i cervelli della successiva». Quando la tecnologia delle punte cominciò a essere trasferita dai vecchi ai ragazzi, «diventò parte di una logica di apprendimento culturale che, a sua volta, creò una struttura tribale più avanzata». Pensiero astratto Scoccate le scintille, l’incendio intellettuale dilagò. L’intreccio di precisione linguistica e pensiero astratto, di gesti veloci e pianificazione lenta cominciò a funzionare. E il cervello, resettato, partorì la mente moderna, piena di promesse e piena di minacce. Forse.