MARCO BARDAZZI, PAOLO MASTROLILLI, La Stampa 30/6/2011, 30 giugno 2011
Blair: “Chi governa non può ignorare i problemi di fede” - Dalla politica all’economia, dalla cultura alla ricerca scientifica, non si può essere un leader nel XXI secolo senza fare i conti con il ruolo che i temi della fede rivestono sempre più negli scenari globali
Blair: “Chi governa non può ignorare i problemi di fede” - Dalla politica all’economia, dalla cultura alla ricerca scientifica, non si può essere un leader nel XXI secolo senza fare i conti con il ruolo che i temi della fede rivestono sempre più negli scenari globali. È la convinzione che ha spinto Tony Blair, uno dei maggiori statisti degli ultimi decenni, a imboccare una strada inedita per un ex primo ministro britannico. Non appena lasciato il numero 10 di Downing Street, Blair ha cominciato a girare per tenere corsi e conferenze sul tema «fede e globalizzazione». Partita da Yale, la «Tony Blair Faith Foundation» opera ora in università di mezzo mondo. In occasione del debutto di Vatican Insider, Blair ha accettato di riflettere sull’influsso della religione nelle scelte di individui, nazioni e istituzioni internazionali (la versione integrale dell’intervista è disponibile su VaticanInsider.com). Scrive la sua fondazione: «Nonostante molti pensatori illuministi abbiano sostenuto che fede e religione fossero in declino, per venire inevitabilmente rimpiazzate dal pensiero scientifico razionale, questa teoria appare sempre meno plausibile». Lei descrive un mondo più religioso, ma l’Europa in questo senso non le sembra in controtendenza? «Non credo che tutta l’Europa viva allo stesso modo queste cose. C’è un ampia disillusione nei confronti delle organizzazioni religiose, ma vedo ancora un desiderio profondo di un compimento spirituale. E poi noto fenomeni come la visita del Papa nel Regno Unito: dopo una vasta pubblicità negativa preventiva, quando poi è davvero arrivato gli è stata riservata un’accoglienza fantastica». Perché ha scelto di dedicarsi a studiare proprio fede e globalizzazione? «Perché sono due delle maggiori forze trainanti del mondo di oggi. Credo realmente che statisti, imprenditori, leader della società civile e funzionari pubblici che non siano dotati di conoscenze in questo campo, non siano attrezzati per il XXI secolo, che siano europei o no. Dobbiamo superare il provincialismo con il paraocchi che è stato incoraggiato dal secolarismo estremo in Europa, perché impedisce un aspetto vitale della capacità di governo». Quale approccio ritiene che occorra sul tema delle minoranze religiose? «I loro diritti oggi sono una questione centrale. Ma non possono venire separati da una cultura globale che includa tutti i diritti previsti nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo dell’Onu. Il concetto centrale con il quale abbiamo a che fare è quello di eguale cittadinanza. Quale che sia la religione di un cittadino, deve avere la stessa opportunità di partecipare alla vita della nazione, così come gli stessi diritti di proprietà, l’assenza di limiti nell’impiego e, naturalmente, la libertà di preghiera senza alcun impedimento a livello nazionale o locale. È vero però che i valori civici condivisi in certi casi possono collidere con l’espressione di valori religiosi. Si tratta di scelte difficili. Ma se lo scontro è serio e non c’è la possibilità di trovare un compromesso, ritengo che l’unico modo di risolvere i conflitti sia il ricorso alla legge». Come possono le diverse tradizioni religiose creare culture compatibili sul piano dei diritti umani? «Attraverso il dialogo tra le fedi. L’iniziativa di vari leader musulmani definita “Una parola comune tra noi e voi” è stata un grande passo in avanti. Aggiungerei poi la necessità del dialogo con il pensiero secolare. Le discussioni di Papa Benedetto con Jurgen Habermas offrono un esempio sorprendente». Sono passati dieci anni dagli attacchi dell’11 settembre 2001. Li ha visti come un effetto dello scontro di civiltà, o come il sequestro di una fede religiosa? «L’11/9 è stato un avvertimento a tutti noi di cosa significa quando una visione sbagliata della religione cattura un gruppo di persone. La verità è che gli attacchi suicidi sono interamente contrari all’insegnamento musulmano e al Corano. Tutte le civiltà dovrebbero unirsi in un’alleanza contro queste cose. Ma questo richiede anche di essere chiari sulla sfida. L’11/9 è il sintomo di un malessere nell’Islam che si può ben chiamare il sequestro di una religione da parte di una piccola minoranza». Stiamo vincendo la sfida a estremisti e fondamentalisti? «La battaglia contro la riduzione di una grande religione mondiale alla cruda esaltazione e glorificazione di una falsa nozione di jihad, l’adorazione della violenza e l’uccisione di innocenti sono una sfida enorme per i musulmani. Come può la gente uccidere in questo modo in nome di Dio? Quale insieme di idee sfocia in questa mistificazione dell’Islam? Questa è una battaglia di idee. E lo scontro per conquistare il cuore dell’Islam può essere vinto solo dai musulmani». Gli sconvolgimenti nel sistema finanziario globale e il quasi collasso del sistema bancario hanno fatto emergere una discussione pubblica sull’etica degli affari. Di quali valori ha bisogno il sistema capitalista contemporaneo per funzionare bene? «Come cattolico, per me la dottrina sociale della Chiesa è una risorsa di grande valore per riflettere sulla nostra attuale situazione finanziaria. In un mondo interconnesso, abbiamo fatto esperienza del pericoloso dato di fatto che il comportamento sconsiderato di pochi può mettere in pericolo il benessere di molti. Dobbiamo eliminare gli incentivi a questi comportamenti nel settore finanziario, ma senza mettere le catene allo spirito imprenditoriale della comunità degli affari. Parte del “core business” delle comunità di fede è la formazione morale: lo sviluppo di un carattere morale per chi guida le imprese è un aspetto importante di tutto ciò». Su sanità e salute, il credo religioso spesso entra in conflitto con le indicazioni delle organizzazioni scientifiche internazionali. Come se ne esce? «Il problema è che non si parla abbastanza di salute nelle comunità di fede. La mia fondazione lavora con imam, preti e pastori in Sierra Leone per educare le loro comunità sulla malaria. Altri stanno lavorando da anni alla pandemia di Hiv/Aids, portando un contributo enorme alla salute in Africa. Bisogna prendere le distanza dagli articoli con facili titoli sui preservativi, per guardare a uno scenario assai più ampio».