Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  giugno 30 Giovedì calendario

NUOVO DIRITTO INTERNAZIONALE I TIMORI DI CINA E RUSSIA

Occorre riconoscere al Primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan, il merito di avere trasformato la sua nazione in un Paese moderno, di avere coniugato democrazia e Islam. L’Europa dovrebbe riconoscere che nessuna questione mediorientale può essere affrontata senza l’aiuto della Turchia. A cominciare dalla condanna della repressione siriana, a proposito della quale mi chiedo, e le chiedo: perché la Russia e la Cina ne prendono sfacciatamente le difese, accordando protezione a un regime massacratore del proprio popolo, come e più di quello libico di Gheddafi?
Giovanni Bertei
giovanni. bertei@alice. it
Caro Bertei, all’origine della posizione russa e cinese vi è un nuovo concetto del diritto internazionale che ha fatto la sua apparizione dopo il genocidio del Ruanda (1994). È la «responsabilità della protezione» (responsibility to protect). Ogni governo, secondo questo principio, ha l’obbligo di proteggere le sue popolazioni da genocidi, crimini di guerra, crimini contro l’umanità, pulizie etniche. E se un governo non adempie a questo obbligo, il principio, nella sua versione più radicale, può addirittura autorizzare la comunità internazionale ad agire nell’interesse delle popolazioni minacciate. Una sorta di prova generale fu la guerra del Kosovo, nella primavera del 1999, quando la Nato intervenne per imporre alla Serbia la concessione di uno statuto speciale alla sua provincia albanese. Ma quando i leader di 191 Paesi si riunirono all’Onu nel settembre 2005 per un vertice mondiale, il concetto fu precisato formalmente, sia pure in una versione attenuata, nel documento finale, e ha avuto da allora una maggiore autorità. Qualcuno potrebbe sostenere che la «responsabilità della protezione» è uno straordinario progresso verso un mondo migliore. Ma la sua applicazione rischia d’intaccare un altro principio, quello della sovranità degli Stati, su cui è stata costruita sinora la comunità internazionale. Siamo certi che questa diminuzione della sovranità sarà universalmente accettata e applicata? Siamo certi che tutti i Paesi siano disposti a farne uso ogniqualvolta le circostanze lo giustificano? Nella grande crisi sudanese dell’ultimo decennio, le potenze occidentali hanno promosso molte iniziative politiche, ma si sono sempre astenute da un intervento militare. In Libia, dopo la rivolta di Bengasi, la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti hanno invocato la «responsabilità della protezione» per farsi autorizzare dal Consiglio di Sicurezza a intraprendere quella che sarebbe divenuta in breve tempo una guerra. Ma in Siria, dove la situazione è molto più grave e le violazioni sono più evidenti, i tre Paesi si sono limitati a dichiarazioni politiche e a qualche sanzione economica. Lasciato alla discrezione delle grandi potenze, il principio della responsabilità corre il rischio di essere applicato quando conviene a chi vuole farne uso. La Russia e la Cina hanno qualche buon motivo per essere preoccupate. La prima potrebbe essere convolta da un momento all’altro in una nuova guerra cecena. La seconda non vuole finire sul banco degli accusati per la sua politica in Tibet e nella provincia musulmana del Xinijang. Entrambe sono pronte a invocare, se necessario col diritto di veto, un altro principio del diritto internazionale: quello della non ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano.
Sergio Romano