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 2011  giugno 30 Giovedì calendario

«MI MERITO 30 ANNI». TATUAGGI E BOTTE, LA BANDA DI VIA ZINGARI —

Sono tornati. «Siamo tornati, è chiaro, mica ci dovevamo nascondere» . E invece sì che si sono nascosti, hanno passato tutto il giorno lontano da quel fazzoletto di strade — via del Boschetto, via dei Serpenti, via dell’Angeletto — battuto fino allo stremo dall’esercito dei media. Poi quando anche l’ultima telecamera ha lasciato il campo, eccoli materializzarsi alle sette di sera vicino alla piazzetta della Madonna dei Monti, il cuore della movida monticiana. Sono gli amici di Christian Perozzi e Carmine D’Alise, «quelli della banda di via degli Zingari, scrivetelo pure, tanto che c’è di male...» . Tutti romani, tutti nati e cresciuti nello storico rione. Uno è in sella a un motorino e ha un vistoso tatuaggio sul petto, dalla camicia s’intravede la scritta: «Inferno» . Poi c’è una coppia di gemelli giovanissimi, dai capelli chiari, a spazzola. Un altro ragazzo smilzo e uno più grosso, alto e riccetto, vorrebbero liquidare in fretta il giornalista intruso. Hanno parlato con Christian fino a un minuto prima che arrivassero gli agenti a prenderlo: «Se quel ragazzo muore mi merito 30 anni, ma io l’altra sera gli ho dato solo due cazzotti...» , ripeteva l’amico in trance e con le lacrime agli occhi nelle sue ultime ore di libertà. Però loro, guarda un po’, sabato sera stavano tutti via. Chi «alle terme di Saturnia» e chi «a casa con la fidanzata» . Nessuno sa, nessuno ha visto niente. Omertà assoluta. Ma la «banda di via degli Zingari» rifiuta qualunque etichettatura: «Quale branco, quale baby gang, noi non siamo né di destra né di sinistra, non siamo fascisti né giustizieri, noi facciamo a botte come fanno a botte altri milioni di ventenni nelle strade. Per un insulto ricevuto, un’occhiata di troppo alla tua ragazza. Succede anche a Trastevere e a Campo de’ Fiori, no? Non siamo mica teppisti» . E così l’altra sera non si capisce proprio come sia andata. La «banalità del male» non può essere sempre l’unica spiegazione. I ragazzi sul motorino raccontano che Christian e Carmine fanno i baristi, «stanno 12 ore al giorno dietro al bancone a servire i cappuccini, come potete pensare che siano due "killer"come li ha già ribattezzati il televideo...» . Carmine, dicono, lavora — anzi ormai lavorava— al bar dell’università Luiss, ai Parioli, dunque non proprio un posto di brutti ceffi. Ha perso la madre da piccolo e da sempre vive con la nonna. Christian invece appartiene a una famiglia storica di esercenti, con tre-quattro bar sparsi nella zona del Colle Oppio, a due passi dal Colosseo. «Qualche birra e qualche "cannetta"al sabato sera come fanno tutti — lo giustificano gli amici— altro che spacciatore... » . La sua è una famiglia di lavoratori indefessi, con mamma Fiorella e papà Ermes ora distrutti e increduli per questo loro figlio, ex bravo ragazzo, finito in gattabuia al commissariato Esquilino. È davvero difficile districarsi nella babele di Monti, riuscire a decifrare la strana formula che ogni notte tiene insieme comitive innocenti, «coatti» romani con simpatie destrorse, squatter stranieri e ubriaconi di strada. Prima o poi finisce inevitabilmente che l’equilibrio si rompe, la corda si spezza. «Ma noi non meniamo quelli che vengono da fuori, come mai potremmo?, qui siamo nel centro di Roma, dovremmo stare in guerra perenne con tutti» , si difendono i ragazzi di via degli Zingari a proposito del presunto orgoglio monticiano — la difesa del suolo, del territorio — che sarebbe stata la miccia del pestaggio dell’altra notte. E neppure c’entra, giurano, il fatto che a prendersela col musicista e i suoi amici, in via Leonina, fosse stato il nipote del macellaio di fiducia del presidente Napolitano, col negozio a due passi. Neanche una vendetta da strapaese, dunque. Solo una storia di raccapricciante, ordinaria follia.
Fabrizio Caccia