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 2011  giugno 30 Giovedì calendario

LA TRINCEA DEL RIGORE

La manovra fmanziaria 2011-2014 non può essere inquadrata correttamente senza tenere conto di un dato di fondo. E cioè che l’Italia si trova, ormai da anni, nella condizione forzata di esprimere un bilancio statale primario ampiamente positivo. Una strada obbligata (a partire dai tempi di Amato, passando poi per Ciampi, Prodi e Padoa-Schioppa, per arrivare fino a Tremonti) a causa dell’esigenza di ridimensionare l’enorme debito pubblico storico accumulatosi nel passato e di pagarne gli interessi. Se il nostro Pil è cresciuto poco nell’ultimo quindicennio è anche perché l’Italia ha dovuto porre in essere un grande Sacrificio interno lordo (Sil), la cui entità è data dal considerevole sforzo compiuto nella generazione continuativa di importanti avanzi primari. Dapprincipio i sacrifici degli italiani sono stati necessari per evitare il default (a cui siamo andati molto vicini negli anni 90), poi sono serviti per entrare nell’euro e infine, nel 2009-2010, per prendere nettamente le distanze dal famigerato club dei Pigs, cioè il gruppo dei Paesi dell’eurozona più pericolanti. Ora i sacrifici vanno inevitabilmente proseguiti per scongiurare scenari di deriva fmanziaria, in un quadro internazionale in cui la speculazione è pronta a colpire sui mercati e a determinare preoccupanti allargamenti della forbice tra i nostri tassi di interesse e quelli di riferimento tedeschi.

La crisi dei debiti interessa ormai tutti i Paesi, anche quelli da tripla A, e in questo clima sembra purtroppo affermarsi, anziché la solidarietà per la ricerca di una soluzione comune, il principio «mors tua vita mea». Infatti, tante economie che hanno ormai deficit pubblici altissimi stanno facendo di tutto, anche attraverso un evidente gioco delle parti dei media e delle agenzie di rating, LA TRINCEA DEL RIGORE di MARCO FORTIS per distogliere l’attenzione dai loro problemi, dipingendo più o meno velatamente come «a rischio» le finanze di altri Paesi, tra cui secondo copione figura anche l’Italia. Con ciò invitando implicitamente gli investitori internazionali a preferire i titoli di debito pubblico giudicati «sicuri» anziché i nostri. O magari, come ha fatto il Financial Times, descrivendo le nostre banche come soggetti «fragili» (ma non erano le banche inglesi quelle finite sull’orlo del fallimento e in parte salvate con la nazionalizzazione?).

Non possiamo dunque prendere sotto gamba questo difficile momento che richiede il massimo rigore sui conti pubblici per non prestare il fianco al benché minimo mutamento d’umore dei mercati. Con l’obbligo non rinviabile di tagliare ancor più le spese e nello stesso tempo di recuperare maggiormente l’evasione fiscale, oltre che di ridurre finalmente in modo significativo i costi della politica.

Aver saputo sopportare per tanti anni un impegnativo Sil non è certo stato facile per le famiglie e le imprese, dalle quali dipende la forza del nostro sistema produttivo e il nostro risparmio diffuso. E uno sforzo però che non è stato vano perché, in un quadro comparato di progressivo e generale peggioramento delle finanze, il rapporto tra il debito pubblico italiano e quello tedesco in percentuale del Pil, che era di 2,5 nel 1994, nel 2010 è sceso a un minimo di 1,4. Mentre il debito pubblico americano in rapporto al Pil, che dieci anni fa era la metà del nostro, è ormai grande quasi quanto il nostro.

Nella capacità di generazione di avanzo primario statale (cioè di avere un surplus al netto degli interessi) l’Italia costituisce da molti anni un caso virtuoso rispetto ai suoi gravi errori del passato, quando le finanze pubbliche furono sfasciate. Infatti, nel 1996-2007 il valore cumulato dell’avanzo primario italiano a prezzi 2000 è ammontato a ben 475 miliardi di euro contro i 197 miliardi della Germania, i 175 miliardi della Spagna, i 26 miliardi della Francia, i 101 miliardi di sterline della Gran Bretagna e i 1.386 miliardi di dollari degli Stati Uniti. Poi, nel difficile periodo 2008-2010 l’Italia e la Germania hanno sperimentato due anni di contenuto disavanzo primario (il 2009 e il 2010), mentre gli altri Paesi hanno presentato dei disavanzi primari in tutti gli ultimi 3 anni, con deficit particolarmente cospicui nel biennio 2009-2010 che hanno «bruciato» o annichilito i precedenti avanzi. Sicché, in virtù di un 2008 ancora molto positivo, soltanto Italia e Germania possono vantare un avanzo statale cumulato nel triennio di crisi 2008-2010 (rispettivamente di 21 e 34 miliardi a prezzi 2000), mentre i bilanci pubblici di Stati Uniti, Gran Bretagna, Spagna e Francia sono finiti tutti pesantemente in rosso.

A consuntivo, nell’intero periodo 1996-2010 Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia hanno accumulato un disavanzo primario statale a prezzi costanti molto forte, la Spagna solo un modesto avanzo (27 miliardi di euro), la Germania un surplus significativo (232 miliardi di euro) mentre l’Italia, considerando anche le più ridotte dimensioni della sua economia rispetto a quella tedesca, ha sfoderato un bilancio pubblico primario cumulato da record: ben 497 miliardi di euro (sempre a prezzi 2000), che saliranno a 530 nel 2012.

L’attuale manovra fmanziaria interviene limitatamente sul 2011-2012 anche perché nel corso del 2010, con la manovra per il 2011-2013 era già stato previsto un aggiustamento dei conti pubblici pari a 12 miliardi nel 2011 e a circa 25 miliardi per anno nel biennio successivo. Dunque l’aggiustamento dei conti ora deciso per il 2013-2014 rappresenta la fisiologica prosecuzione di quanto stabilito l’anno scorso e si inquadra in un percorso coerente che aveva già contabilizzato interventi importanti per il 2011-2012, come prova il fatto che le proiezioni del-l’Ue per questo biennio indicano che l’Italia avrà un avanzo primario in percentuale del Pil (0,8% nel 2011 e 1,9% nel 2012) superiore a quello della stessa Germania mentre tutti gli altri maggiori Paesi continueranno a rimanere in forte deficit.

In definitiva, il problema vero, oggi, non è che gli italiani debbano fare nuovi sacrifici, questo è scontato. Ma è soprattutto che dobbiamo dimostrare ai mercati di essere capaci di continuare a farlo senza tentennamenti, mantenendo i nervi saldi nel caos della crisi mondiale e rispettando gli impegni presi con l’Europa.

Sotto questo profilo la storia del nostra Sil cumulato parla per noi. E invece tutto da vedere quanti altri Paesi, i cui conti pubblici nel frattempo sono assai peggiorati, riusciranno a imitare l’Italia, coniugando avanzo primario e crescita, in assenza di nuove «bolle» che spingano art if iciahnente il loro sviluppo come è accaduto nel recente passato.