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 2011  giugno 30 Giovedì calendario

HO FATTO LE SCARPE AL PAPA

«Sono dovuto diventare Papa per indossare scarpe così belle?». È con questa frase, tipica del suo spirito ironico, che Papa Giovanni Paolo II ringraziò Adriano Stefanelli quando per la prima volta ricevette in dono un paio di scarpe fatte a mano da lui. Dall’artigiano di Novara, 63 anni ad agosto, che da quando ne ha 14 realizza calzature portando avanti una tradizione di famiglia. «Da bambino sognavo di fare il calciatore», spiega Stefanelli, «mia madre voleva facessi il medico, e invece eccomi qua, ho seguito la strada più semplice, continuando il lavoro di mio padre, un’attività di cui alla fine mi sono innamorato. Che cosa c’è di più bello che far star bene le persone?». È con questo intento, infatti, che nacque il primo paio di scarpe «illustri», se così si possono chiamare. «Un giorno vidi Papa Wojtyla in tv che faceva fatica a camminare durante una Via Crucis, così pensai che avrei potuto realizzare un paio di scarpe comode e mandargliele in dono. Lo feci e, con mia grande sorpresa, lui accettò». Da lì divenne il suo calzolaio di fiducia e oggi lo è anche di Papa Ratzinger.
Ma non solo. Stefanelli le scarpe le «ha fatte» anche al premio Nobel polacco Lech Walesa, a Miss Italia 2007 Silvia Battisti, a Bush, alla casa automobilistica Ferrari, al presidente delle Repubblica italiana Giorgio Napolitano, le ha ricevute anche Michelle Obama pochi mesi fa in occasione del suo compleanno, un regalo gradito al quale la first lady americana ha risposto a Stefanelli con una lettera scritta di suo pugno. Scarpe comode si diceva, ma non solo. Il tratto distintivo della firma Stefanelli è decisamente la fortuna. Un esempio? Il Novara Calcio, il miracolo del campionato italiano, al quale Stefanelli ha dedicato alcune calzature simboliche, con tanto di tacchetti in legno come si usavano una volta.
«Ho confezionato scarpe per il patron azzurro Massimo De Salvo e anche per l’a.d. della Banca popolare di Novara, Domenico De Angelis, che le ha indossate in più occasioni e devo dire che ogni volta hanno portato molta fortuna. La prima volta, la squadra passò dalla serie C alla B, e quest’anno dalla B alla A».
Stessa fortuna portarono le calzature realizzate per il Milan in occasione del Trofeo Luigi Berlusconi e per la nazionale vaticana. Due anni fa, la città di Novara ha voluto insignirlo del riconoscimento di Novarese dell’Anno, che è un po’ come l’Ambrogino d’Oro di Milano. «Adriano Stefanelli», aveva dichiarato il primo cittadino di Novara, Massimo Giordano, «rappresenta a nostro avviso quel potenziale di capacità artigianale e intuito che è ben presente nella nostra città e che deve essere valorizzato».
Un paio delle sue calzature sono esposte presso il Museo internazionale della radio di Tuglie, in provincia di Lecce, città natale di Stefanelli. Oggi lui rappresenta senza ombra di dubbio l’artigiano di settore più famoso al mondo, un artigiano vecchio stile che non vanta aziende con decine di dipendenti o quant’altro, ma che fa tutto da solo. Un artigiano che però, per continuare a vivere, ha dovuto mettere un po’ da parte la sua passione per le calzature su misura e aprire un negozio di confezione nel cuore della sua Novara. Per lui lavorano due artigiani da cui acquista parte della merce mentre la restante è frutto delle sue creazioni. «Per realizzare un paio di scarpe fatte a mano è necessario circa un mese, di conseguenza mi sono dovuto affidare per forza di cose a terzi». Durante l’anno vengono vendute circa mille paia di scarpe e 250 di quelle firmate Stefanelli. Il genere che si trova in negozio è abbastanza classico, ma non mancano per le donne più cool anche pezzi con tacchi e zeppe.
Stefanelli ha due fratelli: Ruggero, classe 1951 ed Ennio, classe 1954, non è sposato e non ha figli e alla famiglia ha preferito la vita con i genitori, Antonio e Carmen, ai quali è fortemente legato. «Ho preferito non costruire una famiglia o mettere al mondo figli», conclude, «e per ora non mi sono pentito. Ho una persona che mi sta vicino, una compagna cui sono molto legato, ma mi definisco ancora un single convinto».