Vittorio Marchis, Avvenire 30/6/2011, 30 giugno 2011
A Torino la «Stazione del futuro», coi libri senza pagine - Tra le molte occasioni che le celebrazioni del centocinquantesimo dell’Unità d’Italia offrono a Torino c’è una mostra intitolata ’Stazione Futuro’ curata da Riccardo Luna, già direttore dell’edizione italiana della rivista Wired
A Torino la «Stazione del futuro», coi libri senza pagine - Tra le molte occasioni che le celebrazioni del centocinquantesimo dell’Unità d’Italia offrono a Torino c’è una mostra intitolata ’Stazione Futuro’ curata da Riccardo Luna, già direttore dell’edizione italiana della rivista Wired . La rivista era nata nel marzo del 1993 negli Stati Uniti con un editoriale di Bruce Sterling, il guru del cyberpunk e autore del fortunato romanzo Neuromance, che interveniva sul tema War Is Virtual Hell. Qui si proiettavano i conflitti del futuro in un ’inferno virtuale’ dove il 12° Cavalleria si preparava a una ennesima carica. Provocatorio e problematico, questo magazine non esitava a esplorare territori di frontiera come quelli tracciati da Gerard Van Der Leun che affermava che ’dietro ogni nuova tecnologia c’è... il sesso’ oppure quelli di John Browning che guardava con grande anticipazione ’le biblioteche senza muri per libri senza pagine’. Questo era il futuro 20 anni fa e solo più tardi, nel 2009, la rivista era approdata nel nostro Paese, pubblicata da Condé Nast, a fianco delle sorelle maggiori italiane, Vogue , Vanity Fair , Style e GQ. Ora la mostra ’Stazione Futuro’ si accompagna a ’Fare gli Italiani’ negli spazi delle Officine Grandi Riparazioni ferroviarie, un luogo magico dove ancora aleggiano gli spiriti degli operai che appendevano le locomotive come fossero dei quarti di bue e le riportavano a nuovo: uno spazio che ancora lascia intuire che cosa fosse la tecnica qualche decennio orsono. Qui il passato con le sue forze di unione e di separazione, un passato problematico di 150 anni dove la religione e la scuola, le guerre e le emigrazioni, i consumi e le mafie, le campagne e le infrastrutture, il lavoro e i divertimenti, la politica e il cinema ripercorrono un difficile cammino che non è ancora giunto alla sua meta. Di là l’algido spazio di un futuro che vuole essere umano e sostenibile, friendly e high-tech. Il catalogo di questa mostra si intitola Qui si rifà l’Italia e inevitabilmente come ci sipoteva aspettare i punti interrogativi non mancano, anche se le proiezioni guardano soltanto poco più in là, dove (probabilmente) tutti speriamo di arrivare, al 2020. Sembra quasi che gli slanci vitali che avevano avuto i grandi scrittori della fin-de-siècle nelle loro proiezioni a un fantomatico Duemila siano svaniti in un nulla molto più prosaicamente realista, anche perché se resta vera la Legge di Moore, proprio le tecnologie dell’informazione e della comunicazione esploderanno nel prossimo lustro. E così scorrendo i motti che accompagnano il visitatore, strizzando un occhiolino alle massime di Michel de Montaigne, si può leggere: ’dobbiamo fare in modo che il futuro non arrivi senza che ce ne accorgiamo’ oppure ’la carta e il cartone sono parte del nostro dna’, o ancora ’la capacità italiana di compiere nuove imprese si dimostra al meglio nel settore aerospaziale’. I capitoli parlano di un ’capitale umano attivo e intelligente’, ’un’economia affidabile e laboriosa’, ’un welfare diffuso e partecipato’, ’una longevità inclusiva’, ’la città sostenibile’, ’Energia al risparmio’, ’informazione e comunicazione ad alta velocità’. Chi non sottoscriverebbe questi progetti? Ma i problemi dei ’rifiuti zero’, di essere ’veloci, liberi e puliti’, di una ’dolce vita’ e soprattutto di ’crearsi un lavoro’ troveranno davvero una soluzione soltanto se sapremo scrollarci di dosso i particolarismi e i clientelismi che affliggono la politica, ma non solo. Molte sono le ’cose future’ che a Torino possiamo ammirare e sperare di trovare domani sugli scaffali dei supermercati oppure nei cassetti delle nostre case: ma sarà davvero un futuro migliore per tutti? Forse il futuro che qui abbiamo di fronte è un po’ troppo glamour e la carta patinata che lo avvolge e supporta, in questi anni di declino culturale a rischio verso un ’medioevo prossimo venturo’, dovrebbe tenere più in conto che la massima di sant’Agostino del noli foras ire in te ipsum redi è ancora valida. Perché solo all’interno dell’uomo ’abita la verità’.