Alessandra Farkas, Corriere della Sera 28/06/2011, 28 giugno 2011
MR WIKILEAKS VA A HOLLYWOOD (MA SOLO IN FILM) —
«Spetta alla storia giudicare se l’arrivo di Wikileaks ha cambiato davvero il nostro modo di fare giornalismo» , ha scritto il direttore del New York Times Bill Keller lo scorso gennaio in un articolo sul suo Magazine. «Per quanto mi riguarda — ha aggiunto — l’impatto culturale di Julian Assange è stato molto esagerato» .
Sarà. Ma ciò non impedirà a Keller e al Times di intascare una bella somma di denaro con la vendita dei diritti di quell’articolo sulla saga di Wikileaks a uno studio cinematografico guidato da Mark Boal, sceneggiatore di The Hurt Locker. Soltanto uno di almeno cinque film su Wikileaks attualmente in lavorazione a Hollywood.
Con Assange agli arresti domiciliari dallo scorso gennaio, le case di produzione della Mecca del cinema sono state costrette a ripiegare sui giornalisti che hanno scritto articoli sull’argomento. Secondo il Financial Times, la DreamWorks si sarebbe praticamente «comprata» l’inglese Guardian, uno dei quotidiani che hanno pubblicato le storie trapelate dal sito.
La casa statunitense avrebbe acquistato i diritti di «Wikileaks: Inside Julian Assange’s War on Secrecy» di David Leigh e Luke Harding, stringendo accordi persino con il direttore della testata Alan Rusbridger e il suo vice Ian Katz. Interpellato dal Financial Times, Rusbridger ha giurato che «tutti i soldi dell’accordo andranno al Guardian» .
Secondo voci, Hollywood punta a realizzare un polpettone stile The Social Network, con un Assange alla Stieg Larsson. In gara per tagliare per primo il traguardo è anche Raffi Khatchadourian, embedded con Assange, per il celebre profilo sul New Yorker, già acquistato da Hbo e Bbc che stanno girando un documentario diretto dal Premio Oscar Charles Ferguson.
Non è certo la prima volta che dei giornalisti si arricchiscono con Hollywood. Bob Woodward e Carl Bernstein sono diventati milionari vendendo i diritti del loro bestseller «Tutti gli uomini del Presidente» alla Warner Bros che ne ha tratto l’omonimo, leggendario film con Robert Redford e Dustin Hoffman.
Ma il parallelo si ferma qui. «Quando il film debuttò in America nel 1976, lo scandalo del Watergate era morto e sepolto» , punta il dito l’Atlantic, sottolineando come «con migliaia di documenti e cablogrammi diplomatici ancora da pubblicare, non è etico per un giornale che continua a scrivere di Wikileaks trarre profitto dalla sua relazione con il celebre sito» .
Il primo a denunciare questo chiaro conflitto d’interessi è lo stesso Wikileaks che ieri accusava i giornalisti che si arricchiranno alle spalle di Assange di non aver versato un solo centesimo in favore delle spese legali del loro fondatore. E se non bastasse, i contratti spesso molto restrittivi tra giornalisti e studios rischiano di mettere in crisi anche il lavoro delle redazioni.
Se n’è accorto Frontline che produce reportage investigativi per la tv pubblica americana. Dopo aver intervistato due reporter del Guardian per un segmento su Wikileaks, il responsabile del programma Martin Smith si è sentito dire che avrebbe potuto usare solo una piccola parte della registrazione «perché i giornalisti hanno già venduto la storia a un altro studio di produzione» . «Non si può essere cronisti — accusa Smith — e allo stesso tempo protagonisti di una storia» .
Alessandra Farkas