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 2011  giugno 27 Lunedì calendario

«Macché Gheddafi, cacciamo i raìs birmani» - «Ci basterebbero 100mila euro al mese, nulla rispetto ai sol­di che spendete per la guerra in Libia, per abbattere il regime bir­mano nel giro di un anno

«Macché Gheddafi, cacciamo i raìs birmani» - «Ci basterebbero 100mila euro al mese, nulla rispetto ai sol­di che spendete per la guerra in Libia, per abbattere il regime bir­mano nel giro di un anno. Pur­troppo, però, la nostra lotta per la libertà è dimenticata da tutti». Parola del colonnello Nerdah Mya, uno dei comandanti più in vista dei guerriglieri karen, che parla in esclusiva con il Giorna­le . L’etnia karen, in parte cristia­na, si batte contro il regime dei generali nel Myanmar, meglio conosciuta come Birmania. Ner­dah, in visita nel Nord Est per non far dimenticare il conflitto birmano, è il figlio del leggenda­rio capo della ribellione karen, Bo Mya. La Nato appoggia militar­mente e finanziariamente i ribelli libici contro il regi­me del colonnello Ghedda­fi. La rivolta dei karen gode di un qualche aiuto interna­zionale? «Combattiamo da oltre 61 an­ni e non riceviamo uno straccio di aiuto, anche se la situazione in Birmania è peggiore di quella in Libia. Viviamo sotto una ditta­t­ura in mano ad una cricca di ge­nerali, che non gode dell’appog­gio della popolazione. La nostra battaglia è per la libertà e l’auto­determinazione. Per questo ci sembra assurdo che vengano aiutati così pesantemente i ribel­li in Libia, mentre noi siamo sem­plicemente dimenticati. Se aves­simo ottenuto lo stesso appog­gio i­l conflitto in Birmania sareb­be finito da tempo. Eppure le vio­lazioni dei diritti umani nel mio paese sono peggiori di quelle in Libia». La comunità internaziona­le ha previsto di sostenere i ribelli in Libia con un mi­liardo di dollari e l’interven­to militare costa non poco. È vero che ai karen baste­rebbe un decimo di queste cifre? «Se noi potessimo contare su una minima parte di questi sol­di, non dico 100mila euro al gior­no, ma al mese, la faremmo fini­ta con il regime militare nel giro di un anno». Forse i militari al potere nel Myanmar sono meno catti­vi del Rais di Tripoli? «I generali che comandano in Birmania sono tre o quattro vol­te peggio del colonnello Ghed­dafi. Allora mi chiedo perché il governo italiano, gli europei che sono coinvolti in questo costoso intervento armato e appoggia­no sul terreno i ribelli in Libia, non ci aiutano? Nel 2009 mi so­no incontrato a Roma con il sot­tosegretario agli Esteri, Stefania Craxi. Combattiamo anche noi per il rispetto dei diritti umani e per la libertà dalla dittatura. Non solo: il regime birmano è colpe­vole di pulizia etnica. Quando i governativi penetrano nelle no­stre aree bruciano i villaggi, i rac­colti e stuprano le donne. È un genocidio contro una parte del loro stesso popolo, ma non se ne parla». Però sono state imposte sanzioni da parte dell’Unio­ne europea... «Psicologicamente è un bene, ma praticamente servono a po­co perché non sono rispettate. Nominalmente vengono impo­st­e dalla Ue e poi chi investe mag­giormente in Birmania sono gli stessi europei, come gli inglesi. I norvegesi vogliono levare le san­zio­ni per fare affari e lo stesso va­le per i francesi, che hanno inte­ressi nel gasdotto che arriva in Thailandia». Come giudica questo dop­pio standard della comuni­tà internazionale? «Sfortunatamente non abbia­mo petrolio come la Libia. La ve­rità è che pur combattendo per la democrazia siamo stati com­p­letamente dimenticati dall’Oc­cidente ». Perché è venuto nel Nord Est? «Sono in Italia su invito del­l’onlus Popoli, che ci aiuta da 10 anni. Grazie ai soldi raccolti in beneficenza, per progetti umani­tari, siamo riusciti a far rinascere tre villaggi nelle zone che con­trolliamo in Birmania. Il primo l’abbiamo chiamato «piccola Verona». In tutto sono tornate a vivere nei loro villaggi 1100 per­sone ». Lo scorso novembre si sono tenute le elezioni nel Myan­mar. Come le giudica? «Si è trattato di una farsa. Sono la bugia venduta dal governo al­la comunità internazionale per far sembrare che hanno avviato un lento cambiamento. La veri­tà è che nulla è cambiato». Il premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, però, è stata rilasciata dopo 15 an­ni agli arresti, anche se le hanno vietato di partecipa­re al voto... «Per noi resta un simbolo del­la democrazia e dell’opposizio­ne, ma non è forte abbastanza per rovesciare il regime». Come sperate di ribaltare le sorti di questo lungo e di­menticato conflitto? «Almeno 10mila karen indos­sano una divisa. Abbiamo abba­stanza uomini, ma ci servono ar­mi adeguate e munizioni. Altri 150mila karen vivono come rifu­giati in Thailandia, a ridosso del confine. L’obiettivo è riportarli in Birmania incoraggiandoli a di­fendere la loro patria e a battersi per la libertà e l’autodetermina­zione ».