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 2011  giugno 27 Lunedì calendario

Quando Travaglio sbeffeggiava gli anti Senatùr. Sulla «Padania» - Correva l’anno 1997 e Marco Travaglio scriveva sulla Padania

Quando Travaglio sbeffeggiava gli anti Senatùr. Sulla «Padania» - Correva l’anno 1997 e Marco Travaglio scriveva sulla Padania . Lui, quello che ora sulla Lega e din­torni di riti padani spara bordate dal­la prima pagina del Fatto quotidiano , all’epoca troneggiava sulla prima pa­gina dell’organo di partito leghista. Dal primo numero. Pardon. Dal nu­mero zero. Lo avevano chiamato Il Nord , lo distribuirono il 15 settembre 1996 sul Po, edizione speciale per un’occasione storica: la nascita della Padania. Un progetto affidato a Da­niele Vimercati, grande giornalista che tra i primi comprese la portata del fenomeno Lega. «Daniele studiò quel progetto per un quotidiano d’area - racconta Gianluca Marchi, primo direttore della Padania - . Rac­colse finanziamenti da 4 imprendito­ri, con mezzo miliardo l’uno, ma ser­vivano più soldi. Il Nord non si fece più, nacque il giornale di partito, che Daniele rifiutò perché non voleva in­carichi di partito». Ecco, dopo 15 anni ripeschiamo quel numero zero, sfogliando tra l’enorme archivio personale di Leo­nardo Facco, editore libertario (ex mi­­litante leghista), autore di una biogra­fia di Bossi per Aliberti ( «Umberto Ma­gno »). Titolo della prima pagina de Il Nord a lettere cubitali: «Nasce Pada­nia ». Sottotitolo: «Sul Po la più gran­de manifestazione indipendentista del secolo. Bossi: Italia addio, indie­tro non si torna». Nelle pagine 2 e 3, la cronaca della giornata affidata a Mat­teo Mauri, Bossi che dice «il dado è tratto», e poi gran rullar di tamburi perché «l’Italia è finita», mentre «en­tra nella storia la Repubblica federale padana finalmente legittimata». E poi a pagina 6 Gilberto Oneto che rac­conta la Padania terra di democrazia, e a pagina 7 la dichiarazione di indi­pendenza: «La Padania è una Repub­blica federale indipendente e sovra­na. A sostegno di ciò noi offriamo gli uni agli altri, a scambievole pegno, le nostre vite, le nostre fortune e il no­stro sacro onore». Ecco. Marco Travaglio può dire senz’altro: io c’ero. Per la precisione alle pagine 4 e 5. Chissà se ha giurato, lui pure. A giudicare dall’entusiasmo di quella doppia paginata, forse sì. Ti­tolone della parte superiore: «L’Um­berto è un mitomane », con dentro tut­te le dichiarazioni dei detrattori della neonata patria padana. Nella parte sotto, l’altra metà del titolo: «Ma una volta era un mito», con carrellata di tutti coloro che, negli anni preceden­ti, avevano lodato il Senatùr. Uno spaccato divertente, rivisto col senno di poi. Giorgio Bocca per esempio di­ceva: «Odiare la Lega è da cretini, la fobia per la Lega è cretina», e poi riba­diva: «La Lega non ha creato il cam­biamento, la Lega è il cambiamento». Massimo D’Alema,ormai sisa:«Dob­biamo allearci con Bossi nel nome di Prodi, la Lega è una nostra costola». Prodi concordava: «Possiamo fare un accordo forte e trasparente». E poi in ordine sparso: Santoro che dice a De­mattè che «senza Lega lei non sareb­be qui e nemmeno noi », Franco Zeffi­relli per il quale «i leghisti sono le sole persone pulite che esistono oggi», Gianni Agnelli secondo cui «chi ha vo­tato Lega è persona ragionevole e at­tenta al nuovo». Li aveva pizzicati per bene, Trava­glio. Rimproverando agli altri così, so­lo per averne messe in fila le dichiara­zioni, il peccato dell’incoerenza. Ed era appena incominciata. Dopo quel tributo sul numero zero, l’attuale vi­cedirettore del Fatto aveva preso a collaborare con il neonato quotidia­no La Padania . Il primo numero è da­tato 8 gennaio 1997. «Era uno dei no­stri collaboratori, gratis, col nome di Calandrino» ricorda Marchi. Trava­glio compare già il 12- 13 gennaio, edi­zione unica per la domenica e il lune­dì, e va avanti per almeno un paio di mesi, con un articolo ogni due-tre giorni. Non una firma qualsiasi, la sua. «Calandrino» si era meritato una rubrica, anzi due: «il punto» e «il per­sonaggio ». Scriveva in modo meno sferzante di oggi e ancora non si dilet­tava a storpiare nomi e inventare so­prannomi approfittando dei difetti fi­sici delle persone. Ma il giustiziali­smo era già nelle sue corde, se il pri­mo articolo lo ha dedicato a «L’idea di Flick: salvare i ricchi dal rischio cel­la ». L’antiberlusconismo era già una fissa, «Lo statista di Milanello» lo de­moliva il 18 gennaio. E la dissacrazio­ne era già il suo sport preferito, da Francesco Storace definito «simpati­co refuso di An noto per l’eloquio for­bito e il ragionamento sottile» a Ripa di Meana, «uomo per tutte le poltro­ne » che «privo di cadreghino addirit­tura da un mese, ha trovato pace: è il nuovo segretario di Italia nostra». Fi­no a Buttiglione e Casini «piccioncini della Sacra Famiglia Unita», l’uno «di qua con la colf Formigoni», l’altro «di là con la portinaia Mastella». E poi i ritratti, da Franco Carraro «il nuovo che è avanzato» a donna Letizia (Mo­ratti) «detta Lottizia dopo memorabi­li imprese Rai». Di qua Calandrino, pseudonimo fra tanti, da Parsifal a Karl Marx, da Porthos e Vercingetorige passando per il Sciur Curat, di là gli editoriali dei big leghisti, da Bossi a Maroni, da Speroni a Pagliarini, e titoli di apertu­ra tipo «La Padania è già forza per con­quistare l’Europa», o appelli come: «Immigrati, no al voto». Indimentica­bile, salvo sforzi di rimozione, resterà la prima pagina del 23 e 24 febbraio 1997. A destra il ritratto di Carraro, presidente della Lega Calcio. A sini­stra l’editoriale di Bossi. S’intitolava così: «Soccorso rosso dei magistrati».