Claudio Del Frate, Corriere della Sera 27/06/2011; Franco Cardini, ib., 27 giugno 2011
2 articoli – LA RIVINCITA DEI LONGOBARDI — I Longobardi meglio di Garibaldi, chi l’avrebbe mai immaginato? Nell’anno del 150esimo anniversario dalla nascita della Nazione, in cui la figura dell’eroe dei Due mondi è stata messa in discussione a Nord quanto a Sud, tocca a questo popolo bistrattato dalla storia mettere d’accordo l’intera penisola
2 articoli – LA RIVINCITA DEI LONGOBARDI — I Longobardi meglio di Garibaldi, chi l’avrebbe mai immaginato? Nell’anno del 150esimo anniversario dalla nascita della Nazione, in cui la figura dell’eroe dei Due mondi è stata messa in discussione a Nord quanto a Sud, tocca a questo popolo bistrattato dalla storia mettere d’accordo l’intera penisola. Ieri il board mondiale dell’Unesco ha comunicato quali sono i nuovi siti del pianeta che possono fregiarsi del titolo di «patrimonio dell’umanità» . Per l’Italia ha ricevuto questo riconoscimento la «via Langobardorum» , una strada immaginaria che unisce molti dei punti del nostro Paese in cui i Longobardi hanno lasciato un segno del loro passaggio. E questa traccia, partendo dal Friuli, si snoda lungo tutta l’Italia allungandosi fino alla provincia di Foggia, in un on the road che, con dodici secoli di anticipo, procede in senso contrario alla Spedizione dei mille. Una singolarità è data anche dal fatto che l’Unesco ha concesso il suo ok a un sito definito «seriale» , non circoscritto insomma in un’area ristretta. Complessivamente infatti sono otto le località inserite nell’ «Italia Langobardorum» . Cominciando da Nord il primo che si incontra è Cividale del Friuli, in provincia di Udine: il Tempietto longobardo, i resti del complesso episcopale di Callisto e il museo nazionale che conserva i corredi delle necropoli locali sono da ieri patrimonio dell’umanità. Come era logico attendersi, la parte del leone spetta alla Lombardia, regione che deve il suo nome proprio ai barbari arrivati qui dalle pianure germaniche dell’Elba. Tre sono i siti ritenuti degni di menzione e tutela: il primo è il complesso di Santa Giulia a Brescia, con il monastero e la chiesa di San Salvatore. Gli altri due si trovano in provincia di Varese e sono i resti delle cittadelle fortificate di Torba e Castelseprio: di quest’ultima fa parte anche la chiesa di santa Maria Foris Portas dove sono conservati affreschi risalenti ai primissimi secoli della cristianità. Dalla Lombardia le genti venute dal Nord Europa puntarono su Roma, lasciando traccia del loro passaggio in provincia di Perugia e precisamente con il tempietto di Campello del Clitunno e con la basilica di San Salvatore a Spoleto, altri due siti compresi da oggi nella «rete» dell’Unesco. Dal centro al Sud della penisola si arriva in Campania e in Puglia per incontrare le ultime due tappe della peregrinazione longobarda: sono la chiesa di Santa Sofia a Benevento e il santuario di San Michele sul Gargano. Non sono solo queste otto le località che hanno segnato la presenza dei Longobardi in Italia (manca all’appello, ad esempio, la città di Pavia, che fu la capitale del loro regno) ma — fa sapere l’Unesco— i siti sono stati promossi per la loro rilevanza storica e per lo stato di conservazione delle loro testimonianze storiche. Le gesta di re dai nomi astrusi come Alboino, Agilulfo o Rotari, calati in Italia da terre remote e conquistati alla civiltà grazie al contatto con romani e bizantini, entrano a far parte dunque a pieno titolo dell’identità nazionale. Soddisfazione per la decisione dell’Unesco è stata espressa ieri da più voci, dal sindaco di Cividale Stefano Balloch, al governatore della Puglia Nichi Vendola fino al sottosegretario ai beni Culturali Rosario Villari. Da nord a sud oggi siamo tutti un po’ più fratelli longobardi. Claudio Del Frate QUEGLI «ANTENATI» TRATTATI DA BARBARI CHE HANNO FATTO RINASCERE LE NOSTRE CITTA’ - La polemica sul ruolo della dominazione longobarda su parte dell’Italia (tutto il Settentrione, tutta la Toscana, parte dell’Italia centrale, vaste aree della Campania e della stessa area interna apulo calabro-lucana) era già nata nell’umanesimo, quando a quel popolo germano orientale spettò— rispetto ai più fortunati franchi, e ancor più dei goti — la sorte di dover sostenere lo sgradito ruolo di «barbari invasori» . Essa si aggravò attraverso l’erudizione settecentesca e quindi le passioni romantiche-risorgimentali. Già Alessandro Manzoni, in un suo saggio storico scritto in margine alla tragedia Adelchi, che nonostante il suo secolo e mezzo circa di stagionatura si legge ancora con profitto, precisava giudiziosamente molte cose a proposito di come fosse errata la prospettiva alla luce della quale i «barbari germanici» erano stati «oppressori» di quel popolo «italico» che pure egli stesso presentava come avvilito e nascosto tra gli atri muscosi e i fòri cadenti. In realtà, l’ondata longobarda proveniente dal medio Danubio si abbatté alla fine del settimo decennio del VI secolo su un’Italia già duramente colpita da spopolamento e recessione e sulla quale, per circa un ventennio, l’impero d’Oriente governato da Giustiniano aveva invano cercato di riorganizzare ordine e prosperità. Tuttavia, i due secoli circa del regno longobardo, scandito in differenti ducati, segnarono una progressiva riacquisizione di caratteri positivi e perfino l’inizio della rinascita di certe città. L’arte longobarda, specie l’oreficeria e la metallurgia, fu tutt’altro che trascurabile: e grazie alla loro flessibilità i longobardi seppero adattarsi bene, a partire dall’ultimo quarto dell’VIII secolo, alla supremazia franca e all’egemonia ecclesiale del vescovo di Roma. Non c’è dubbio che essi siano stati una componente essenziale dell’identità italiana che si andava allora costituendo. La loro importanza sul piano archeologico è stata definitivamente comprovata da studiosi come Otto von Hessen. I medievisti italiani se ne occupano fin da quando, negli anni Sessanta, si consolidò la tradizione dei convegni di Spoleto promossi dal Centro italiano di studi sull’Alto medioevo. Peccato che di ciò poco si siano occupati i media. Franco Cardini