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 2011  giugno 27 Lunedì calendario

BPM, Il FORTINO ANTISTORICO - Nelle banche popolari, anche quotate e di grande stazza, si vota per testa, non per azione: ogni socio ha un voto, con milioni di azioni, o solo una

BPM, Il FORTINO ANTISTORICO - Nelle banche popolari, anche quotate e di grande stazza, si vota per testa, non per azione: ogni socio ha un voto, con milioni di azioni, o solo una. Il sistema, per i suoi difensori, le tutela dai tentativi di farne strumento di potere per il gruppo di controllo. Per altri, quorum et ego, un gruppo di controllo esiste comunque, e qui nasce dalle peculiarità del voto per testa. Lo prova la durata in carica di alcuni inamovibili presidenti di popolari. Dalle Alpi a Capo Lilibeo, c’è gente in carica da prima dello sbarco sulla Luna, ha scritto sul «Corriere» Mario Gerevini: solo una ferrea dittatura, o il voto capitario, assicurano tanta immobilità. E quando questo gruppo di controllo sbaglia, va avanti fino al crollo, proprio e della banca: Fiorani docet, ma non solo! Sabato scorso i soci-dipendenti della Banca Popolare di Milano (Bpm)— coagulati nell’Associazione Amici della Bpm — hanno respinto l’aumento delle deleghe che ogni socio può portare in assemblea (da tre a cinque), richiesto da un’ispezione della Banca d’Italia; dato che i dipendenti non possono avere deleghe, il loro aumento avrebbe incrinato il predominio degli Amici, che mette a rischio la sana e prudente gestione (dagli Amici mi guardi Iddio...). È invece passata l’altra richiesta di Banca d’Italia: un aumento di capitale di 1200 milioni, a fronte di un valore di borsa crollato ormai a 620 milioni. La banca va rifondata, a partire dal capitale, ma il presidente Massimo Ponzellini, che pure ha portato in assemblea la delibera respinta, non ha fatto un plissé. In cuor suo certo gongola: via Nazionale imparerà a dar retta agli Amici, sicuri che qualcuno voglia portarsi via la banca con niente, anche se Mediobanca fatica a formare il consorzio di garanzia per l’aumento. Per gli Amici, dice Ponzellini, cinque deleghe erano un passaggio «troppo accelerato» ; sono ragazzi, serve pazienza. I 50 mila soci di Bpm sborseranno solo il 27%dei 1200 milioni; il residuo 73%delle azioni è in mano a istituzioni finanziarie. Vedremo se si faranno convincere da chi in passato aveva accusato Banca d’Italia di imporre aumenti di capitale-mazzata a banche sane, e sabato è tornato all’attacco: essa "continua con la solita tuba; in questo periodo ci tengono a fare bella figura". Non sarebbe la sana e prudente gestione di Bpm a preoccuparla, ma il desiderio dei suoi zelanti burocrati di aiutare il passaggio di Draghi alla Bce. Se gli Amici pensano che finisca qui, si sbagliano. Le picconate del vulcanico Ponzellini sarebbero trascurabili, non fosse per certi riflessi. Nelle sue Considerazioni finali, Draghi ricordava un mese fa la necessità di una nuova legge per dar modo alle popolari quotate di meglio controllare il cda e aumentare la partecipazione in assemblea, anche aumentando le deleghe. L’establishment delle popolari, invece, da sempre rifiuta ogni apertura alle istanze poste da Draghi. I suoi (eterni) rappresentanti propongono ogni tanto piccoli maquillage, venduti a chi abbocca (sono tanti) come "grandi riforme"; ben lieti di accompagnare con compunte giaculatorie al governatore la sua imminente partenza, che libera il loro piccolo mondo antico da questo intruso cosmopolita. Col Braveheart di Gemonio sì, c’è idem sentire. Peggio per i loro azionisti, come pochi sfibrati dal crollo dei corsi, e dalle conseguenti ingenti ricapitalizzazioni. Ma c’è anche altro su cui riflettere. Gli Andropov delle popolari non sono soli a gioire per l’allontanarsi della sagoma di Draghi; come il pirotecnico Ponzellini, anche il ministro dell’Economia se ne farà una ragione. Proprio l’apparentemente marginale decisione degli Amici ci ricorda, però, l’importanza della distinzione dei ruoli. La Banca d’Italia, chiunque la guidi, deve continuare a essere presidio di competenza e indipendenza per il Paese. Questo è vittima da anni di un grave vuoto politico; lo si riempie facendo il proprio mestiere, non esondando. Nei travagli dell’eurozona, s’intravede l’incrudirsi della crisi sociale; non ci servono il colbertismo, né l’immobilismo, ma serietà istituzionale, e tanto lavoro, a servizio dell’interesse pubblico. Salvatore Bragantini