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 2011  giugno 29 Mercoledì calendario

LORENZETTO INTERVISTA ARMANDO VERDIGLIONE


Panorama, 29 giugno 2011

Della cifrematica l’Enciclopedia Rizzoli Larousse vent’anni fa dava, pur con qualche strafalcione, la seguente definizione: «Scienza della parola intesa come cifra. Teoria elaborata da Armando Verdiglione e utilizzata all’interno di esperienze di conversazione, lettura, ecc. Secondo la cifrematica ogni parola può essere analizzata secondo la sua “logica” (idiomatica) o la sua qualità o “cifrema” (cifratica). Cinque sono le “logiche” (delle relazioni, stigmatica, delle funzioni, delle operazioni, delle dimensioni) e tre le strutture (sintattica, frastica e pragmatica) secondo cui ogni parola può essere “decifrata”».
Con una simile premessa, era inevitabile che tra l’ideatore della cifrematica e la Guardia di finanza, ferma all’aridità delle sole cifre, si creasse qualche incomprensione. Ma poiché il professor Verdiglione ha dedicato la vita alla scienza della parola, non poteva sfuggirgli l’oggetto dell’email spedita alle 9.47 dello scorso 7 giugno dal maresciallo capo del Nucleo di polizia tributaria delle Fiamme gialle di Milano, Gianluca Pasta, per diramare alle redazioni il comunicato con cui si annunciava urbi et orbi che lo psicoanalista proprietario della casa editrice Spirali, già finito in carcere negli anni Ottanta per circonvenzione d’incapace, truffa e tentata estorsione, era nuovamente indagato, stavolta per evasione fiscale: «operazione “Guru”». Col secondo sostantivo racchiuso fra virgolette, un «sottinteso sapiente » già censurato dalla sentenza 5259 della Cassazione, «il più sottile e insidioso» degli espedienti per lasciare intendere l’espressione «in maniera diversa o, addirittura, contraria al significato letterale, ma, comunque, sempre in senso fortemente sfavorevole».
La conferma che l’«operazione “Guru”» era stata percepita dai mass media nel senso sottinteso dal comunicato stampa della Gdf, l’indagato l’ha avuta l’indomani, leggendo il ritratto che Gianluigi Paracchini gli ha dedicato sul Corriere della sera: «Nelle tesi ma pure nel destino di Armando Verdiglione, 66 anni, inventore della cifrematica, psicoanalista, imprenditore e scienziato (come gli piace definirsi), c’è sempre stato un sentore di doppiezza. Psicoterapeuta d’avanguardia o versione furbastra d’un Rasputin-Cagliostro de’ noantri?».
A emettere fatture false per 3 miliardi di euro e a non versare iva per 300 milioni sarebbero state cinque società controllate al 100 per cento dalla Fondazione di cultura internazionale Armando Verdiglione, promotrice dell’Università del Secondo Rinascimento, fra le quali due dimore storiche della Lombardia, la Villa San Carlo Borromeo di Senago, hotel 5 stelle lusso al centro di un parco secolare d’una decina di ettari, e la Villa Rasini Medolago a Limbiate, entrambe poste sotto sequestro dal gip Cristina Mannocci.
A prima vista parrebbe trattarsi di una difformità d’interpretazione sul modo di fatturare la cultura: «I parametri di un’impresa intellettuale non sono gli stessi di un’azienda siderurgica». Per renderlo in termini cifrematici: come fare equivalere il metabolismo di un elefante con quello di un colibrì.
Qual è il suo stato d’animo attuale?
Tranquillo. La tranquillità è audacia e rischio.
Si dichiara colpevole o innocente?
Domanda da processo alla Perry Mason. A me non si contestano fatti di rilevanza penale.
Rasputin o Cagliostro de’ noantri?
Nessuno dei due. Fra l’altro non ho mai esercitato come psicoterapeuta. Questi signori inseguono il personaggio del 1985, costruito a immagine e somiglianza di chi lo creò. Le parole usate nei loro articoli entrarono nel mandato di arresto, nella requisitoria, nella sentenza. Li avevo tutti contro, con La Repubblica, L’Unità e Paese sera in prima linea, e due sole eccezioni: Vittorio Feltri sul Corriere e Ruggero Guarini sul Messaggero.
Almeno stavolta non è stato arrestato.
Allora mi feci quattro mesi in carcere e sette mesi agli arresti domiciliari. Dicevano che avevo influenzato per interposta persona un dentista milanese, costringendolo a investire 54 milioni di lire nella mia impresa culturale. Dopo nove mesi le sue azioni erano state ricomprate per 185 milioni, pensi che truffa. Un processo per stregoneria. Annunciato.
In che senso?
Nel 1984, in occasione del congresso Il Secondo Rinascimento, da dove viene l’Oriente, dove va l’Occidente, che organizzai a Tokyo, il mio amico Jorge Luis Borges dichiarò alla poetessa Maria Luisa Spaziani: «Attaccare Verdiglione diventerà uno sport nazionale, in Italia». E al filosofo Vittorio Mathieu: «Fra un anno lo processeranno». La Repubblica scrisse che Bettino Craxi veniva a sottoporsi a psicoanalisi nel mio studio di via Montenapoleone. Mandai una lettera di smentita: «Mai incontrato Craxi». Il leader socialista fece altrettanto. Deduzione della Repubblica: «Allora è vero». Fu la prova generale di Mani pulite: con la cultura era più agevole. Da allora mi trovo nella condizione di Gaetano Salvemini, il quale spiegava che, nel caso fosse stato accusato d’aver rubato la Madonnina, per prima cosa sarebbe fuggito all’estero. Io resto. Ma se mi difendo indicando la statua sulla sommità del Duomo di Milano, mi dicono: «Ecco la prova!».
Perché la Guardia di finanza e la magistratura ce l’avrebbero con lei?
Io non lo penso. Credo che nessuno ce l’abbia con me. Il loro sarà un ricordo di copertura, come lo chiama Sigmund Freud. Una falsa reminiscenza dell’affaire Verdiglione. Di sicuro si tratta di un enorme abbaglio. Fra l’altro a 15 persone sono state esibite fatture che un ragioniere teneva nel cassetto della scrivania come sue esercitazioni, cioè 15 documenti estranei ai nostri bilanci, con nomi storpiati e indirizzi sbagliati, però presentati ai testimoni come se fossero note di vendita vere. Ovvio che nessuno le abbia riconosciute per tali. In seguito i finanzieri hanno ammesso che non rientravano nella contabilità. Sì, però al magistrato mica sono andati a spiegarlo.
Come ha saputo d’essere indagato?
Le Fiamme gialle vennero il 18 novembre 2008. Non per una verifica fiscale ordinaria: vennero per l’«operazione “Guru”». Rimasero fino al 5 febbraio 2009. Una causa d’innesco non c’era. Non esiste un solo verbale, fra quelli compilati giorno per giorno dai finanzieri, che contenga un qualche rilievo. Dissi loro: fino a che starete qua, io non mi muovo, rinuncio a tutte le mie trasferte in Italia e all’estero, chiedetemi, sono a vostra disposizione. Mai interpellato. Segno che seguivano una loro precisa visione.
Quale visione?
Lontana dalla realtà intellettuale. Una visione rissosa, vendicativa. Il business culturale che porto avanti da 40 anni viene demonizzato. Congressi, convegni, seminari di studi, mostre, dibattiti per loro non esistono. Ergo, le fatture emesse sono false: come se queste attività si organizzassero da sole. Considerano validi i ricavi ma non i costi. Ciò nonostante, anche prendendo per buone le premesse, non è dimostrabile alcun profitto ai danni dell’erario. Peraltro nel periodo 2002-2009 abbiamo versato allo Stato tasse per 26 milioni di euro.
Ma l’«operazione “Guru”» doveva proseguire ugualmente.
Trenta fra sedi di associazioni che fanno capo alla fondazione e case di privati cittadini perquisite alle 7 del mattino, da Milano a Matera. Due anni e mezzo di accertamenti bancari. Non è stata una verifica fiscale, bensì la verifica dei loro pregiudizi.
È coinvolta anche sua moglie, Cristina Frua De Angeli, ereditiera lombarda.
Indagata, ma citata negli atti di sfuggita, come semplice autrice di libri, benché sia la presidente della fondazione e delle cinque società. Si vede che lei non è una «guressa». Puntavano solo al «guru».
Si vocifera che sia una sua ex paziente.
Ex allieva. Non ho mai avuto pazienti. Semmai le persone che venivano da me erano impazienti. Non ho neppure il lettino da psicoanalista, soltanto quel divano del Seicento che vede dietro di sé. Secondo Cristina sono io l’unico a essere stato plagiato. Da mia moglie.
Quando vi siete conosciuti?
Nel 1974. Nel 1981 ci fu un fidanzamento non ufficiale. Io ero lontano dall’idea del matrimonio. Come ultimogenito di una famiglia che tra figli, nipoti e pronipoti è arrivata a un’ottantina di persone, pensavo che i miei sei fratelli avessero già dato un contributo decisivo alla riproduzione della specie. Ci sposammo civilmente la vigilia di Natale del 1990. Poi la nostra unione fu benedetta a Roma da un sacerdote molto importante. Niente a che vedere col matrimonio sacramentale. Ma siamo entrambi cattolici.
Tutto torna. Gilbert Keith Chesterton sosteneva che la psicoanalisi è una confessione senza assoluzione.
Chesterton non ha capito nulla. Il greco análysis si traduce in latino absolutio, cioè «non c’è più soluzione». Significa che l’ostacolo è assoluto, non si può rappresentare. Questa è l’analisi. Non c’entra niente con la confessione. Friedrich Nietzsche scriveva che i migliori psicologi sono i preti. È il contrario: i migliori preti sono gli psicologi. E io considero la psicologia una superstizione.
Però a 9 anni voleva farsi missionario e andare in Estremo Oriente sulle orme di San Francesco Saverio.
Non a 9: a 13, e per questo studiai dai gesuiti prima a Catania e poi a Palermo. A 12 anni volevo diventare poeta. E a 6 stabilii gli orari delle mie giornate.
Cioè?
Sveglia alle 4 e studio, studio, studio.
Il «Corriere» ha scritto che lei e sua moglie avreste lucrato «mutui e finanziamenti per oltre 83 milioni garantiti presentando alle banche situazioni contabili e bilanci irreali perché “gonfiati” con fatture per operazioni inesistenti».
Per Villa San Carlo Borromeo, che contiene 2.700 opere d’arte e d’antiquariato, abbiamo ricevuto proposte d’acquisto oscillanti fra i 500 e i 600 milioni di euro. Per Villa Rasini Medolago ci hanno offerto 120 milioni. Alcune perizie bancarie, redatte prima che il restauro venisse completato, attribuiscono ai due siti monumentali un valore complessivo di 300-350 milioni. Quale sarebbe il rischio per le banche? Finora abbiamo garantito agli istituti di credito 30 milioni di profitto.
Con lo stesso sistema avreste ottenuto finanziamenti anche dal ministero dei Beni culturali, senza averne diritto.
La prima villa sorse, nel Duecento, su un insediamento celtico dell’VIII secolo avanti Cristo. Quando nel 1983 la rilevammo dal conte Febo Borromeo d’Adda, era inagibile da decenni, in stato di completo abbandono. Sono seguiti 28 anni di restauri finissimi, con un costo storico pari a 105 milioni di euro, senza tener conto del lavoro di tanti amici che hanno messo a disposizione il loro talento a titolo volontario. Il ministero ci ha erogato circa 2 milioni di euro in base alle perizie dei suoi tecnici. Un altro milione è stato bloccato a seguito dell’indagine.
Le cronache narrano che in queste ville, oltre a dibattiti, vernissage, banchetti nuziali e convention, si svolgevano party per scambisti mascherati come nel film «Eyes wide shut» di Stanley Kubrick.
C’è stato un meeting di mogli e mariti vestitissimi, in maschera. Poi se la sono tolta.
Con quali banche è più esposto?
Questo, se permette, è affar mio.
Glielo chiedo perché «La Stampa» ha citato fra i suoi amici più cari Gaetano Micciché, direttore generale del gruppo Intesa Sanpaolo.
L’ho incontrato una sola volta. Non siamo amici. Se lo fossimo, non lo negherei. Se lo diventassimo in futuro, ne sarei onorato. Torniamo sempre lì, al personaggio costruito dai giornali. La verità è che dormo quattro ore per notte e ogni mattina arrivo alle 4.30 nel mio ufficio di via Fratelli Gabba. Non ritorno mai a casa prima delle 23.30. E non è che negli intervalli esca per qualche passeggiata.
Be’, lo faccia.
Non posso. Dopo tre passi finirei al pronto soccorso con un’emorragia. Avrei dovuto operarmi alla prostata nel febbraio 2009. Invece ho rimandato per rimanere qui dentro a monitorare un’azienda messa a dura a prova dal terrorismo ideologico. Questa è la prima intervista che rilascio dopo 11 anni. Non mi difesi allora, non mi difendo adesso. Si difende chi ha compiuto un crimine.
Forse ha compiuto un crimine culturale.
Spirali, il movimento cifrematico e il Secondo Rinascimento sono nati da un progetto e da una scommessa. Il progetto era quello di ricercare e promuovere tutto ciò che si profilava di nuovo nella scienza, nell’arte, nella cultura, nella politica e nella società. Fu fatale, a quel punto, l’incontro con la dissidenza planetaria, in particolare quella sovietica. Nel 1973 l’ideologia marxista aveva raggiunto l’apogeo, tutta l’Europa era più o meno comunista, trionfava il sessantottismo, impazzavano le Brigate rosse. Io teorizzai che nemmeno i russi credevano più a quest’ideologia e che entro vent’anni l’Urss si sarebbe dissolta. Cominciai a pubblicare e a invitare i dissidenti: da Vladimir Bukovskij, internato nei manicomi sovietici e poi barattato con l’ex leader comunista cileno Luis Corvalán, a Eduard Kuznecov, condannato a morte e poi consegnato agli Stati Uniti in cambio di un computer. Dimostrai che l’Italia era ancora il paese di Leonardo da Vinci, l’artista che inventò la scienza. Grandi convegni a Milano: su psicoanalisi e politica, sessualità e politica, semiotica, follia, tortura. Congressi a Parigi, Londra, Tokyo, Lisbona, Cordova, Caracas, Lubiana, Francoforte, Gerusalemme, San Pietroburgo, Ginevra. Duemila persone riunite all’hotel Plaza di New York.
Era questa la scommessa? Internazionalizzarsi?
No, spezzare l’egemonia ideologica di stampo gramsciano e togliattiano che gravava sulla cultura e sull’arte. Elie Wiesel nel 1982 in Italia non lo conosceva nessuno, subiva un ostracismo odioso. Quando lo pubblicai, l’establishment nostrano rispose col silenzio. Quattro anni dopo vinse il premio Nobel per la pace e allora tutti a parlarne. Stava per accadere quello che avevo previsto: finite le ideologie, caduto il comunismo, sarebbe dilagato il luogocomunismo.
Com’è che il filosofo Emanuele Severino è arrivato a 82 anni solo studiando e insegnando, senza maneggiare quattrini, mentre lei è sempre stato al centro di avventure economiche?
Il professor Severino ha scelto di ricevere uno stipendio ogni mese, io no. È una questione di libertà. Già nel 1973 finanziavo i miei seminari di studi con una modesta tassa d’iscrizione, 10 mila lire. Inaudito. Una bestemmia nell’Italia dominata dalla mitologica gratuità della cultura. Ma come? Occorre il biglietto per entrare? Va’ a spiegare ai postcomunisti che la gratuità crea il debito totale. Non ho pagato i doganieri dell’ideologia. Mai stato comunista, ecco la mia colpa.
Pensa che contro di lei possa aver giocato un preconcetto antimeridionale?
Lo pensava il deputato socialista Giacomo Mancini, che io non conoscevo: «Lo perseguitano perché è calabrese».
E quindi contiguo alla ’ndrangheta.
Allo scoppio dell’affaire Verdiglione mi chiamavano «il Gatsby dei Navigli». Poi diventai «il principe di Caulonia», essendo nato in una frazione di quel comune della Locride, Agromastelli.
Il «Corriere» le rimprovera «un look inusuale per un pastore di inconsci: pelliccia, completi gessati, scarpe bicolori, sigarone stile gangster».
Indosso solo mocassini neri, me li compra Cristina. (Si alza per mostrarmeli).
Nel 1987 intervennero in sua difesa parecchi intellettuali, Eugène Ionesco e Bernard-Henri Lévy acquistarono una pagina su «Le Monde». Stavolta il silenzio.
Mi hanno telefonato Fernando Arrabal, Anatolij Krym, Uwe Henrik Peters, Marek Halter, Victor Erofeev e Vladimir Bukovskij. Volevano sottoscrivere un appello analogo. Li ho dissuasi. Ho ricevuto un’affettuosissima lettera da padre Roberto Busa, gesuita di 98 anni che ebbe per compagno di seminario Albino Luciani ed è stato amico di sette papi. È il linguista e filosofo che ha creato i link su cui clicchiamo navigando in internet, cioè l’ipertesto alla base dei suoi 56 volumi contenenti l’Index Thomisticus, l’opera omnia di San Tommaso d’Aquino.
Che cosa le ha scritto?
Non credo di poterglielo riferire.
Tranquillo: conosco padre Busa, al massimo se la prenderà con me.
Mi ha scritto: «Ancora una volta la grandine ha maciullato un vigneto prosperoso. Lo prenda dalle mani di Dio come un esercizio ginnico di forza, un incidente che abbia colto di sorpresa un gigante campione di sport estremi».
Stefano Lorenzetto


LORENZETTO Stefano. 54 anni, veronese. Prima assunzione a L’Arena nel ’75. È stato vicedirettore vicario di Vittorio Feltri al Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café su Raitre. Scrive per Il Giornale, Panorama, First e Monsieur. Dieci libri: Cuor di veneto e Il Vittorioso i più recenti. Ha vinto i premi Estense e Saint-Vincent di giornalismo. Le sue sterminate interviste l’hanno fatto entrare nel Guinness world records.