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 2011  giugno 29 Mercoledì calendario

CHIAMATEMI RIVOLUZIONE

(rileggere bene, testo scannerizzato!) –

Da vicino è davvero un bell’uomo. E si è convinto di avere fatto la rivoluzione a Napoli. Forse giova ripetere: Luigi De Magistris si è convinto di aver fatto la rivoluzione a Napoli. Non è sfiorato dal dubbio che i napoletani possano volentieri lasciarglielo credere senza scommetterci, di loro, nemmeno un centesimo.
Rivoluzione, rivoluzione, rivoluzione: la parola gli piace da morire, è il passe-partout che riconosce i suoi enormi meriti, misconosciuti fin qui. Lui sottolinea ogni due per tre che di questo si è trattato, a Napoli: di una rivoluzione infine sbocciata grazie a un vero capo. E se ne bea. Nell’accarezzare la certezza che un destino importante lo attenda, cova qua e là prosaici rancori. Iperpolitici, però. Risentimenti verso Antonio Di Pietro, che ha avuto il torto di ostacolarne la grandezza per miserabili questioni di visibilità. Risentimenti verso Nichi Vendola, che commise il torto di non appoggiarlo al primo turno. Questioni nascoste per ora dalle montagne di spazzatura, ma che si trovano all’ordine del giorno. «’O bello Masaniello», su questo c’è da giurarci, proverà sicuramente a fare le scarpe a tutt’e due.
Complimenti. Lei è un fenomeno politico nazionale, non potrà accontentarsi di limitare l’impegno a Napoli.
«Napoli è nel mio cuore e a lei penserò nei prossimi cinque armi. Certo, è mia intenzione contribuire alla politica nazionale».
Contribuire come?
«All’intemo di una squadra che capisca bene una cosa: quello che è successo qui costituisce un faro per tutto il Paese. Mi hanno colpito molto le parole dell’ambasciatore americano: Napoli è importantissima per questi motivi, scelta giusta del leader, internet, e una valorizzazione della cittadinanza attiva che è andata oltre i partiti».
Non dimentichi Milano.
«Milano è importantissima, ma dentro lo schema tradizionale partitico. Napoli è altro».
Lei è dunque il vero, nuovo trascinatore.
«Di questo sono consapevole: sono un punto di riferimento e ho una grande capacità di leadership. Ma voglio esercitarla all’interno di una squadra. Una leadership moderna va esercitata così».
Non si mascheri. Sta facendo una polemica indiretta con Antonio Di Pietro.
«Il problema non è quello di una contrapposizione tra me e Di Pietro. A Napoli, anche grazie a me, si è creata una situazione che va molto oltre Di Pietro. Qui non si è avuto il successo dell’Italia dei valori, ma il successo di un leader. E a livello nazionale bisognerà saperlo cogliere. Io sono un leader politico: Di Pietro un leader di partito, come Nichi Vendola, come Pier Luigi Bersani».
Ne consegue questo: saranno i leader di partito, lei dice, che si dovranno adeguare a me, non il contrario.
«Attenzione, però: io dico che i leader di partito stanno un gradino sotto, e questo è vero, ma aggiungo altresì che, se sapranno adeguarsi, potranno risalirlo».
Inizia la sua marcia su Palazzo Cingi?
«Non mi facda dire cose che non voglio dire e che non penso. Tra l’altro, mai mettere il carro davanti ai buoi».
Più chiaro di così si muore. Il suo primo compito, intanto, è sgomberare la spazzatura. In cinque giorni lo faremo, aveva promesso. Sarebbero passati...
«Ho fatto la delibera, non una cosa qualsiasi. Il comune ha già fatto una delibera sulla raccolta differenziata che sarà operativa il 1 ° settembre in sette quartieri e poi negli altri. Per Napoli è una rivoluzione».
Non c’è dubbio, l’altra rivoluzione sarebbe togliere i rifiuti.
«Questo non dipende solo dal comune».
Anche dalla camorra.
«Che c’enti’a la camorra?».
Dicono che sui rifiuti non si muova foglia che la camorra non voglia. In questo caso, sarete obbligati a trattarci.
«A stroncarla, vorrà dire».
Stroncarla è una bellissima parola, se non rimane solo una parola.
«Noi non scenderemo a patti con la camorra, sarebbe la negazione stessa del senso della nostra elezione».
Chiuso qui il problema?
«Chiuso».
Contento lei. Ma cosa intende, allora, quando risponde che sgomberare le strade non dipende solo dal comune?
«Semplice, che dipende anche da altri».
Arzigogoli, scuse da politicanti, avrebbe detto il De Magistris di due mesi fa.
«Nessuna chiacchiera. Ora tocca a provincia, regione e governo assumersi le loro responsabilità. Provincia e regione lo stanno facendo, in ottima armonia con noi».
Il governo no?
«La Lega ha mantenuto un atteggiamento negativo. Lavoreremo ancora, d’accordo con la regione di Stefano Caldoro, perché il governo facda fronte ai suoi doveri».
Intanto ci sono le manifestazioni, i blocchi stradali, gli incendi: che cosa farà?
«L’ho detto, abbiamo fatto la delibera. E individuato, senza aspettare Roma, i siti provvisori: non nuove discariche, ma siti dove i rifiuti dovrebbero sostare un paio di mesi per essere subito trasferiti altrove».
La gente se ne infischia, non crede alla provvisorietà dei siti di stoccaggio e continua a dare fuoco ai copertoni.
«A Napoli si protesta sempre».
Finirà che dovrete menare la gente a Giugliano, a Quarto, a Pozzuoli, allo svincolo di Agnano e chissà dove, per disperdere i blocchi e domare gli incendi.
«I cittadini vanno convinti che non sarà più come prima: la musica è cambiata, c’è stata una rivoluzione».
Dagliela...
«Andranno convinti che stiamo facendo l’impossibile e dialogheremo con tutti per risolvere il problema».
E ridagliela. Così finirà che la menerete, la gente. E non ci sarà manco più un De Magistris che protesterà a sostegno della sacrosanta protesta di piazza.
«Sta dicendo sciocchezze».
E il secondo inceneritore? Niente?
«Non se ne parla neanche Quello di Acerra funziona, un altro sarebbe uno spreco di denaro, una diminuzione dei posti di lavoro, un contributo all’inquinamento e la raccolta differenziata lo renderebbe tra l’altro obsoleto, è la strada sbagliata».
In compenso. Napoli offrirà i circenses.
«Prego?».
Non avete invitato Barack Obama?
«Saremmo onoratissimi, se venisse».
Il presidente degli Stati Uniti accolto in una piazza Plebiscito tirata a lucido per il secondo rinascimento napoletano, dopo quello di Antonio Bassolino.
«Al contrario. L’ambasciata americana è attentissima alla rivoluzione di Napoli e la giudica con attenzione, con entusiasmo».
Una scelta strategica.
«Sì, nel nome della pace. E dei legami storici, culturali, che questa capitale del Mediterraneo ha da sempre con gli Stati Uniti».
Quando dovrebbe arrivare il «pacifista» Obama?
«Il sogno è a Natale. Se no, subito dopo».
Roberto Saviano, invece, ancora non s’è affatto convinto di riprendere casa.
«Quello di Saviano è un caso molto più semplice, più facile».
Torna davvero a vivere a Napoli?
«Questo non lo so».
Come non lo sa?
«Dipenderà da lui».
Lei l’ha invitato, no?
«Sì, e vogliamo creare tutte le condizioni perché torni a vivere qui».
Vabbè, allora fra trent’anni.
«Ma che dice? A Napoli abbiamo fatto una rivoluzione. La mia elezione non è un fatto ordinario, è un fatto rivoluzionario. E quando accadono queste cose le condizioni cambiano velocemente. Vogliamo tagliare ogni rapporto con la camorra».
Magnifico. Eppure Saviano nicchia...
«Poi intendiamo lavorare moltissimo sulla cultura».
E quello sempre nicchia.
«Verrà certamente quest’estate, per un’importante iniziativa che stiamo costruendo».
Una puntatina.
«Poi deciderà lui».
L’uscita su Luigi Bisignani poteva evitarsela, però. Avrebbe fatto migliore figura.
«Non ne so molto, ho letto i giornali. Quel che so è che, quando da pm scavai nei poteri occulti, deviati, massonici, fui fermato».
Ma quali «poteri occulti»? Lei sa benissimo che le sue inchieste sui cosiddettpoteri occulti, con tante altre, si schiantarono contro un muro per assenza di prove e di fatti...
«È falso: finché le seguii io marciavano bene; quando le dovetti cedere si arenarono».
Macché: dall’inchiesta Poseidone a Toghe lucane, fino a Why not, la sua è stata una sequela di flop. Non posso dire mediatici. A meno che lei non intenda accusare i colleghi che hanno ereditato le sue inchieste di essere incapaci, o peggio. Lei sa bene che l’inchiesta sulla «P4» è un’accozzaglia di niente per decisione dello stesso gip, che ha già eliminato i reati associativi e di clandestinità.
«Il reato è l’articolo 2 della legge Anselmi. Sono persone che si riuniscono in ambiti extraistituzionali per decidere questioni istituzionali, per decidere su tutto, dagli appalti della Protezione civile all’iter per condizionare un’inchiesta. Finché ciò non diventa legge, magari, o sentenza, e appare formalmente regolare. Mentre queste cose sono decise nell’ombra, in segreto. A lei questo sembra normale, democratico, trasparente? Il caso del magistrato Alfonso Papa era noto da anni. E mi stupisco di Luca Palamara, presidente dell’Associazione nazionale magistrati, che se n’esce denunciando che nella magistratura c’è una questione morale. Ma se lo sapeva da anni!».
I magistrati trovino reati e li provino. Lascino il brivido del consenso ad altri protagonisti. Lei, sempre in tv da Michele Santoro, non costituì di sicuro un esempio da questo punto di vista.
«Andai da Santoro dopo che mi trasferirono, non prima».
Anche prima...
«No. Io so che i cittadini calabresi raccolsero per me 100 mila firme, senza tv, quando ero pm a Catanzaro. Evidentemente pensavano che facessi bene il mio mestiere».
Centomila firme per un pm: ci risiamo. Non vuole chiedere scusa a qualcuno colpito ingiustamente dalle sue inchieste?
«Non ho fatto inchieste ingiuste. Non devo chiedere scusa a nessuno».