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 2011  aprile 04 Lunedì calendario

Anno VIII – Trecentosessantasettesima settimana Dal 28 marzo al 4 aprile 2011 -Mentre scriviamo, Berlusconi è a Tunisi a trattare con quel governo la questione degli immigrati, divenuta nel corso della settimana esplosiva

Anno VIII – Trecentosessantasettesima settimana Dal 28 marzo al 4 aprile 2011 -

Mentre scriviamo, Berlusconi è a Tunisi a trattare con quel governo la questione degli immigrati, divenuta nel corso della settimana esplosiva. Il governo di Tunisi, provvisorio (resterà in carica fino a luglio), pone tre condizioni irrinunciabili: a) saranno riaccolti in patria solo i cittadini identificati sulla base delle convenzioni internazionali; b) saranno riammessi solo coloro che vogliono effettivamente rientrare; c) non saranno tollerate riconsegne di massa. C’è una quarta condizione, dichiarata nel corso di qualche intervista a uomini politici locali: nessuna spettacolarizzazione dei rimpatri, «con navi cariche come se trasportassero bestiame» (così Moez Sinaoui, uno dei consiglieri più stretti del primo ministro Béji Caidi Essebsi).

Föra di ball La settimana era cominciata con tre parole di Bossi «föra di ball», rivolte soprattutto alla base perché non dubitasse del vecchio celodurismo leghista. In concreto, basandosi su quello che è avvenuto dopo, la frase sembrerebbe voler dire che gli africani in arrivo vanno sistemati soprattutto al Sud. Infatti l’unica tendopoli realmente allestita è quella di Manduria, in provincia di Taranto, luogo di elezione di Alfredo Mantovano che, vedendo il numero degli ospiti crescere a dismisura, ha dato le dimissioni da sottosegretario agli Interni. «Avevo promesso a quelli di Manduria che non sarebbero arrivati più di 1.500 immigrati. Constatato che quel numero è stato abbondantemente superato, ho tratto le conseguenze». Mantovano, nonostante le preghiere di Berlusconi, è ancora dimissionario, ma non è uscito dalla maggioranza.

Berlusconi Sabato 30 marzo, Berlusconi è andato a Lampedusa. Niente cravatta, camicia blu sotto una giacca scura, ha afferrato un microfono e arringato la folla. Un discorso dei suoi: l’isola sarà evacuata entro 48/60 ore, faremo di Lampedusa una Portofino colorata, la proporremo per il Nobel per la pace, la esenteremo dalle tasse, ci metteremo un casinò, le rimborseremo i fastidi e le perdite provocate dalla fuga dei turisti, io stesso l’altra notte mi sono comprato una villa qui facendomi lampedusano (s’è poi saputo che ha rinunciato a questo acquisto) e altre promesse del genere. Proprio in quel momento si dimetteva Mantovano, rovinandogli la festa. E i tunisini respingevano la nave “Catania”, che aveva a bordo cinquecento immigrati precipitosamente dirottati su Manduria quando i tunisini avevano comunicato di non aver firmato alcun accordo. E nella stessa Lampedusa il vento, nei giorni successivi, rendeva difficili gli imbarchi sicché ancora nel momento in cui scriviamo si trovano sull’isola circa tremila africani e gli sbarchi, dopo una pausa di qualche giorno, sono ricominciati, di modo che a ogni gruppo che parte ne corrisponde un altro che arriva.

Manduria Delle tante tendopoli o centri di accoglienza che dovevano essere preparati dalle regioni italiane per ricoverare fino a 50 mila immigrati, non è stato approntato che quella di Manduria. Dopo aver dato un assenso di massima – e apparentemente col cuore in mano – le regioni hanno precipitosamente fatto marcia indietro. La Lombardia ha negato la caserma Serini di Montichiari (Brescia) e quella di Lonate Pozzolo (Varese). In Veneto, dove si puntava all’ex caserna Romagnoli o all’ex base militare di Bagnoli (tutt’e due a Padova), il governatore Zaia s’è detto disposto ad accogliere solo i rifugiati politici, mentre tutti gli altri «devono essere reimbarcati e riportati nel loro paese» (föra di ball). Il sindaco di Torino ha negato l’Arena Rock. Solo la Toscana ha già accolto 300 dei 500 immigrati che le sono stati assegnati, mentre la Caritas ha annunciato di esser pronta a mettere a disposizione 2.500 posti. A Manduria, intanto, dove su sette ettari si sono montate tende per accogliere – a quanto pare – fino a diecimila persone, si sono verificate fughe in massa di africani decisi ad arrivare in Francia, dove hanno i parenti che li aspettano. Sono scappati, fino ad ora, in un migliaio. Alcuni sono stati recuperati e rinchiusi di nuovo nella tendopoli, dotata intanto di una recinzione più alta e più difficile da scavalcare. Ma l’insieme appare, almeno fino ad ora, privo di una guida sicura e lungimirante. Se arrivassero davvero i 50 mila? Se ne arrivasse un milione?

Che fare I francesi hanno chiuso ermeticamente il valico di Ventimiglia, dove s’è dovuto allestire un centro d’accoglienza nell’ex caserma dei vigili del fuoco. L’Europa ha ribadito che il problema è nostro e che ce la dobbiamo sbrigare da soli. Per ora non si sa bene a che possa servire neanche l’intervista lasciata dal primo ministro francese Fillon, che ci dà ragione e sostiene che non possiamo essere lasciati soli. La soluzione che si intravede a questo punto è questa: il presidente del Consiglio, con un suo decreto, dichiara l’emergenza umanitaria. Questo permette al governo italiano il rilascio a tutti gli immigrati di permessi temporanei di tre mesi, con i quali potrebbero raggiungere la Francia, il Belgio, la Germania e gli altri paesi dove li aspettano le famiglie. Questo “permesso umanitario”, una volta emanato da noi, sarebbe automaticamente valido in tutta la Ue. A nessuna frontiera gli immigrati potrebbero essere respinti, e alla fine dei tre mesi il permesso potrebbe essere rinnovato. Perché Maroni resiste all’adozione di questa misura? Perché molti degli immigrati avrebbero comunque la scusa per restare da noi. E il permesso potrebbe incoraggiare altre migrazioni dall’Africa. Infine, le tendopoli per gli immigrati in transito non potrebbero essere allestite che al Nord, in prossimità dei confini.

Libia I mercenari di Gheddafi hanno riconquistato molte delle posizioni perdute. La resa del colonnello appare lontana. S’è scoperto che gli insorti non sanno combattere, si sparano involontariamente tra di loro, si feriscono da soli. Nelle cancellerie se ne comincia a diffidare («chi sono, alla fine?»). Si pone mente al fatto che molti degli alqaedisti iracheni erano libici. S’è saputo che, in contrasto con l’obiettivo umanitario, hanno fatto molti morti anche tra i civili (cento?). Gli stessi ribelli cominciano a dire che ci vorrebbe un intervento sul terreno, svolta alla quale la Nato, che ha adesso il comando delle operazioni, sembra del tutto contraria.

Prescrizione breve Il governo sta cercando di far passare la legge sulla “prescrizione breve”, un accorciamento dei termini non eccelso ma sufficiente per vanificare quattro dei sei processi di Berlusconi. La cosa ha provocato una rissa alla Camera: La Russa, bersagliato di monetine all’ingresso sguarnito di Montecitorio, ha mandato poi “affa” il presidente Fini, colpito in testa dal lancio di un giornale mentre il ministro della Giustizia Alfano scagliava il suo tesserino contro i banchi dell’opposizione e la deputata disabile Ileana Argentin veniva insultata da quelli della Lega. Un clima da fine repubblica che ha indotto il presidente Napolitano a convocare i capigruppo, una procedura che si segue solo durante le crisi di governo. Si ricomincia a parlare di un’iniziativa autonoma del Presidente per sciogliere di forza un Parlamento ingovernabile.

Olgiata A uccidere Alberica Filo della Torre, il 10 luglio 1991, è stato il cameriere filippino Manuel Winston Reves: inchiodato da una macchia di sangue sul lenzuolo servito per lo strangolamento, indiscutibilmente sua, l’uomo ha poi confessato. La contessa l’aveva sorpreso, intorno alle otto di mattina, mentre stava rubando nella sua camera. È stato così risolto, dopo vent’anni e grazie all’analisi del dna, il celebre giallo dell’Olgiata. Winston, divenuto nel frattempo italiano, ha chiamato Alberica una delle sue figlie.