Giornali vari, 7 marzo 2011
Anno VIII – Trecentosessantatreesima settimana Dal 28 febbraio al 7 marzo 2011 -Con Gheddafi che non riesce ad avere ragione dei ribelli e con i ribelli che non riescono a entrare a Tripoli e mettergli le mani addosso, il mondo si interroga a) sugli scenari possibili b) sulle conseguenze economiche di una crisi libica prolungata
Anno VIII – Trecentosessantatreesima settimana Dal 28 febbraio al 7 marzo 2011 -
Con Gheddafi che non riesce ad avere ragione dei ribelli e con i ribelli che non riescono a entrare a Tripoli e mettergli le mani addosso, il mondo si interroga a) sugli scenari possibili b) sulle conseguenze economiche di una crisi libica prolungata.
Scenari Gli scenari sono evidentemente tre. Vince Gheddafi, vincono i rivoltosi, lungo stallo. Il mondo, e in particolare Obama, ha puntato sulla vittoria dei ribelli. A Gheddafi l’Onu ha applicato sanzioni piuttosto dure (beni congelat, divieto agli stati di accoglierlo), il tribunale dell’Aja lo indaga per crimini contro l’umanità, Obama rilascia di continuo dichiarazioni che lo invitano a togliersi di mezzo, gli stessi italiani – i meno pronti a sconfessare le vecchie intese col rais – hanno sospeso il trattato di amicizia. E tuttavia, sul terreno, Gheddafi ha riconquistato parecchie posizioni a oriente, ha fatto in tempo a farsi arrivare dall’estero un mucchio di soldi e con questi soldi sta comprando l’appoggio delle tribù più influenti, ha a disposizione armi pesanti (aerei, carri armati, elicotteri) e truppe mercenarie pagate a peso d’oro e, poiché è escluso che gli americani o la Nato o l’Onu intervengano militarmente in Libia, potrebbe ritrovarsi a un certo momento di nuovo in sella. Che atteggiamento prenderà a quel punto il resto del mondo è un mistero. I paesi occidentali sono invece pronti a riconoscere un governo messo su dai ribelli. Il guaio è che costoro non hanno per ora né un capo né una struttura di vertice visibile e/o credibile, risultano, dopo queste prime battaglie, male armati, non troppo ben guidati e divisi al loro interno. Per vincere davvero devono in ogni caso arrivare a Tripoli e controllare tutto il paese. Molto più fredda sarebbe la reazione internazionale se la Cirenaica cercasse di rendersi indipendente e facesse stato a sé: riconoscimenti e aiuti sarebbero in questo caso assai blandi, perché il mondo e i mercati desiderano un vincitore sicuro, con cui poi trattare. Il terzo scenario, quello del lungo stallo, è il più temuto: la crisi non sarebbe risolta sul piano politico-militare e complicherebbe notevolmente le difficoltà economiche mondiali.
Petrolio Il primo problema riguarda il petrolio. Sta adesso (lunedì) intorno ai 105 dollari il barile, ha toccato a un certo punto i 120, si teme che non si riesca a farlo costare di meno. La Libia vale il 2% della produzione mondiale e i sauditi possono rimpiazzare questo due per cento abbastanza facilmente pompando a tavoletta dai loro pozzi. Non in eterno, però: una previsione realistica dice che se in settembre non saremo tornati a una situazione normale, il petrolio comincerà a scarseggiare e il prezzo continuerà quindi a salire (c’è oltre tutto la forte domanda di energia di Cina e altri paesi emergenti). In termini macroeconomici quello che conta è il prezzo medio annuo: nel 2008 il mondo fu devastato dalla crisi anche perché il prezzo medio annuo del greggio fu di 99,67 dollari. Gli speculatori scommettono sul rialzo e, in questo modo, spingono sul rialzo. L’area dei produttori mediorientali è poi tutta a rischio: l’Algeria vale un altro 2%, l’Iran un 5%, gli Emirati un 6%, i sauditi il 10%. È chiaro che, con queste premesse, è difficile immaginare un anno di prezzi del petrolio al ribasso. Obama starebbe vagliando la possibilità di attingere alle riserve americane di petrolio (727 milioni di barili) per contenere il prezzo della benzina, arrivata ormai a tre dollari e mezzo al gallone.
Stagflazione Mais, riso e cereali – per colpa della domanda cinese e terzomondista, e per fattori climatici – crescono di prezzo da otto mesi. Cresce di prezzo, quindi, anche la carne, per via dei mangimi. Le banche conoscono un solo modo di combattere l’inflazione: aumentare il costo del denaro, cioè il tasso di sconto. Trichet, governatore della Banca centrale europea, ha preannunciato questo aumento (aprile?) «per contenere lo choc petrolifero legato alla crisi libica e alle tensioni del Nord Africa». L’Euribor, il tasso su cui sono regolati i nostri mutui, ha infatti ricominciato a salire. Le due banche centrali (Fed e Bce) sono poi zeppe di titoli illiquidi, comprati in questi tre anni dalle banche private per non farle saltar per aria. È in pratica carta straccia: la Bce ne aveva per 173 miliardi di dollari nel 2007 e ne ha adesso per 2.890 miliardi; la Fed è passata da 915 a 2.305. A che punto le due banche scaricheranno sul mercato il rischio connesso a questi titoli invendibili stampando moneta e creando altra inflazione? La novità di questo scenario sta nel fatto che il ritorno dell’inflazione – l’area euro è adesso al 2,4% contro l’1% di un anno fa – non coinciderebbe con una ripresa della domanda e della produzione, come accade di solito. I prezzi in salita si accoppierebbero invece con un rallentamento della produzione e della domanda. Un fenomeno raro, che prende il nome di “stagflazione” e che viene assimilato a una malattia molto grave.
Berlusconi Berlusconi avrebbe intenzione di presentarsi ai processi che lo riguardano e rispondere alle domande dei giudici. Il suo avvocato Ghedini è andato, venerdì scorso, a discutere con il presidente del tribunale di Milano un calendario che concili gli impegni del premier con i suoi obblighi verso la giustizia. È una procedura imposta dalla Corte costituzionale nella sua sentenza mitigatrice degli effetti troppo garantisti del legittimo impedimento: ammettiamo che un presidente del consiglio ha troppo da fare per partecipare sempre e comunque alle udienze, d’altra parte escludiamo che non possa andarci mai e che spetti a lui decidere se le cose che ha da fare sono più importanti del processo. Quindi, siccome alle parti in causa è anche richiesto un atteggiamento disponibile, l’avvocato è stato costretto a intavolare la trattativa. Berlusconi sarebbe pronto a presentarsi di lunedì, ma, a quanto pare, il Tribunale non crede che questa possa essere una soluzione: il Cav è impegolato in quattro storie, processi Mediatrade, Mediaset, Mills e Ruby. Un solo lunedì a settimana per tutti e quattro i processi parrebbe troppo poco. D’altra parte, è ragionevole che negli altri giorni Berlusconi lavori da presidente del Consiglio. Se al lunedì si aggiungesse il sabato? No, perché ci sono le missioni internazionali. La domenica? Mah. L’aspetto curioso della storia è che per questa via la Procura di Milano resterebbe impigliata dal suo stesso attivismo: il numero di processi istruiti contro Berlusconi è forse troppo alto per le umane possibilità procedurali.
Affittopoli Sta montando uno scandalo relativo alle case di enti pubblici affittate o vendute a prezzo troppo basso a inquilini o acquirenti importanti. La questione riguarda tutte le città: a Roma la Procura indaga sulle case affittate o vendute dal Comune dopo il 2007 (il precedente è prescritto), Alemanno ha a sua volta messo in piedi una commissione per far luce su vendite e locazioni tra il 2001 e il 2008 (epoca Veltroni). A Milano si indaga sul Pio Albergo Trivulzio (quello da cui partì Mani pulite), sul figlio della Moratti che ha ristrutturato cinque grandi capannoni in forma di bat-casa senza avere – sospetta la Procura – tutti i permessi necessari, sul Policlinico, sul Goldi Redaelli (ente d’assistenza agli anziani), sull’Aler (edilizia popolare, 70 mila inquilini). Lo scandalo (se esiste) riguarda anche Firenze (l’Ipab ha un patrimonio che varrebbe 5-6 milioni di reddito annuo, ne incassa solo uno e mezzo), Bologna (Irides), Palermo (Iacp), Genova (la Misericordia), ecc.