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 2011  maggio 29 Domenica calendario

FINCANTIERI, FIAT E LA STORIA DELL’OLIVETTI

Domenica 22 maggio, Report ha fatto cenno all’intervento di Fiat, Pirelli, La Centrale, Imi e Mediobanca per salvare la Olivetti. Il mezzo secolo trascorso dal fatto può spiegare perché la tv abbia attribuito a tutti, Dc in testa, il «delitto» di aver allora ceduto la divisione elettronica alla General Electric annullando il primato dell’Italia nell’informatica. E però distinguere le responsabilità di quel passaggio cruciale offre lezioni valide anche oggi.
Nel 1964, come racconta Paolo Bricco nel suo libro Olivetti, prima e dopo Adriano, la casa di Ivrea era fallita: troppe le perdite negli Usa dopo l’oneroso acquisto della mitica ma disastrata Underwood; troppa la finanza assorbita dalla divisione elettronica, che aveva inventato l’Elea 9003, il primo grande calcolatore a transistor al mondo. Decenni di alti profitti nelle macchine da scrivere e da calcolo avevano illuso la famiglia Olivetti di poter cambiare scala produttiva, commerciale e tecnologica senza aprire davvero il capitale al mercato. Nel momento del disastro, tutte le azioni ordinarie risultarono in pegno alle banche svizzere e italiane. Il Gruppo d’intervento, che si era creato su richiesta di Bruno Visentini, plenipotenziario degli Olivetti, riscattò le azioni lasciandone una parte alla famiglia e prestò 20 miliardi di lire all’azienda per ripartire. Ma nel contratto fu inserito un codicillo che imponeva la cessione della divisione elettronica. L’aveva preteso Vittorio Valletta: senza, la Fiat non avrebbe partecipato. Risulta che Enrico Cuccia intervenne su Giovanni Agnelli affinché convincesse il «suo» presidente a recedere. Ma il Professore fu inflessibile. «La divisione elettronica è un neo da estirpare» disse. Perché? In effetti, la Fiat produceva motori aerei su licenza General Electric e aveva forse più interesse a compiacere lo storico partner americano che il vicino piemontese. D’altra parte, la partita dell’elettronica era ardua. Nel 1959, secondo un manager olivettiano, Rosario Amodeo, le tecnologie Olivetti e Ibm erano comparabili, ma nel 1964 la casa di Armonk stava per lanciare la serie 360 che avrebbe reso obsoleti gli Elea. Ci sarebbe voluta una capacità imprenditoriale che la sorte aveva bruciato e le banche non possono mai rimpiazzare: nel 1960 era morto Adriano Olivetti, l’anno dopo il giovane Mario Tchou, genio dei calcolatori, figlio di un diplomatico della Cina imperiale.
Per giocarsela la Olivetti avrebbe avuto bisogno anche di una forte domanda domestica per l’Elea 9003. Ma banche e industrie restarono fedeli a Ibm, con l’eccezione della Marzotto. E anche la pubblica amministrazione continuò ad affittare i calcolatori americani. L’Italia si chiuse nel suo particulare, non fece sistema. E così si vendicò di Adriano Olivetti, un comunista da ostracizzare per governo e Confindustria, un paternalista da demistificare per i comunisti. Un grande eretico, diciamo noi. Sarebbe allora servita una politica industriale fatta di competenza tecnica, coraggio d’intrapresa, apertura ai capitali, spirito democratico e coesione nazionale. Servirebbe anche oggi di fronte alla crisi di Fincantieri e alle incertezze su Fiat e Chrysler.
Massimo Mucchetti