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 2011  maggio 28 Sabato calendario

Partecipi alla Biennale del «destro» Sgarbi? Sei solo un traditore - Nonostante giunga­no ampie rassicu­razioni dal presi­dente Baratta in persona sullo sta­to dei lavori al Pa­diglione Italia, che sarà inaugu­rato nei tempi previsti, venerdì 3 giugno, in Laguna si fa sempre più aspra la polemica

Partecipi alla Biennale del «destro» Sgarbi? Sei solo un traditore - Nonostante giunga­no ampie rassicu­razioni dal presi­dente Baratta in persona sullo sta­to dei lavori al Pa­diglione Italia, che sarà inaugu­rato nei tempi previsti, venerdì 3 giugno, in Laguna si fa sempre più aspra la polemica. Certo, il destino di chi cura ed espone al­la Biennale è quello di stare al gioco delle critiche, ma questa volta la questione è un po’ più grave che il semplice giudizio sulla mostra. Accettare o rifiuta­re un invito è legittimo e discre­zionale, così come pretendere al­meno la copertura delle spese di trasporto, anche se esiste una dif­ferenza tra il giovane artista sen­za galleria e il milionario Luigi Ontani terrorizzato alla sola idea di spendere 300 euro a fron­te di un modello unico che sup­poniamo importante. Compilare liste di proscrizio­ne, molto ma molto meno. Si trat­ta infatti di una vera e propria caccia al collaborazionista. Se stai al gioco di Sgarbi, se ti fai coinvolgere mostrando una tua opera o segnalando un artista, vuol dire che sei corresponsabi­le del massacro ai danni dell’ar­te italiana. Quindi segnato a di­to, perseguitato dai monatti che si spartiscono il potere e decido­no i buoni e i cattivi. Peggio, mol­to peggio, se sei di sinistra: mar­c­hiato dall’infamia di questo Pa­diglione Italia è pronto per te l’ostracismo. Venezia come Vi­chy, Sgarbi uguale a Petain. Il popolo dell’art-blog, chia­mato a esprimersi liberamente e sollecitato a sfogare le proprie frustrazioni, solidarizza con chi, invitato, ha posto il gran rifiuto, a cominciare dal pittore romano Cristiano Pintaldi che di Sgarbi non vuol manco sentir parlare perché ideologicamente avver­so. Anche se andrebbe specifica­ta­la differenza tra essere presen­te sul main stage di Venezia o in uno dei palchi di seconda fila di una qualsiasi sede regionale, per cui si può capire il disinteres­se di alcuni, tipo Beppe Gallo o Paolo Canevari, che alla Bienna­le in carriera hanno già parteci­pato. Per opporre un rifiuto basta in­viare una mail o non rispondere al telefono. Gli artisti, invece, si scoprono grafomani e petulanti abbondando in spiegazioni non richieste. Sul blog dell’ Espresso firmato Alessandra Mammì, Lu­ca Vitone denuncia la mancan­za di rispetto verso la Biennale più antica del mondo, critica (qui non senza ragione) le moda­lità organizzative, riproponen­do il principio di una scelta alta­mente selettiva. Se però tale cri­terio fosse applicato, probabil­mente lui non sarebbe stato invi­tato. Vitone è stato segnalato dal­l’architetto Pierluigi Cerri, che non conosce (come Sgarbi) ep­pure stima (perché a differenza di Sgarbi è di sinistra). Il fatto è che la stragrande maggioranza degli intellettuali e dei per­sonaggi chiamati dal curatore a esprime­re la propria prefe­renza pende chiara­mente da quella par­te. Sento dire in giro, e sempre più insi­stentemente, che questi neo-collabo­razionisti si dovreb­bero vergognare di partecipare al giochetto folle e di­struttivo di un esponente chiave del berlusconismo in Italia. Pen­sate ai nomi più rutilanti della li­sta: il premio Nobel Dario Fo, gli attori Roberto Benigni, Ascanio Celestini, Toni Servillo e Lucia­na Littizzetto, i registi Ferzan Ozpetek, Bernardo Bertolucci e Mimmo Calopresti, gli scrittori Lidia Ravera ed Edoardo Nesi, i professori Ernesto Galli della Loggia, Alberto Abruzzese e Um­berto Veronesi, gli editori Alber­to Castelvecchi e Marcello Bara­ghini, gli stilisti Alda Fendi ed Elio Fiorucci, i giornalisti Fabio Fazio e Roberto Silvestri, il mate­matico Piergiorgio Odifreddi, il musicista Franco Battiato. Tutti miti della nomenklatura eppure tutti entusiasti nel partecipare a un progetto comunque unico e irripetibile, nel bene o nel male. Ha scritto bene Sebastiano Vassalli sul Corriere della Sera , anche lui coinvolto: «è un’idea che rompe schemi collaudati ma fin troppo prevedibili, basati sull’eccellenza (vera o presun­ta) degli artisti e sulle tendenze del curatore in campo estetico. Ci saranno critiche, anche fero­ci, ma ci sarà anche tanta curiosi­tà e, si spera, tanto pubblico, fi­nalmente!, di non addetti ai lavo­ri ». Buone notizie ai naviganti: per una volta l’intellettuale italiano si dimostra libero, oltre che pen­sante. Significa che nel nostro Paese ci sono almeno duecento persone che non applicano il pregiudizio al posto del giudi­zio. Al contrario, critici (tutti) e artisti (molti) formano un sinda­cato autoprotezionistico e fuori dal mondo. «Sgarbi è artefice di un carrozzone», tuona Renato Barilli ancora convinto che le uniche mostre buone siano le sue;persino l’ottimo Gino Agne­se, ex presidente della Quadrien­nale lo accusa di aver aperto al dilettantismo e alla pittura della domenica; mentre i consulenti, da Marco Senaldi a Marco Tonel­­li, si affrettano a scendere dal Ti­tanic prima che affondi. Sgarbi ha il potere di mettere d’accordo tutti i colleghi: non uno che lo di­fenda, non uno che intuisca la forza immaginifica e utopistica di un progetto folle e abnorme comunque destinato a lasciare il segno. Sgarbi ultimo avanguardista? Certo, proprio lui che ama la pit­tura figurativa. Perché di fronte al rischio assurdo che si è preso, gli altri appaiono invecchiati di colpo, conservatori ad oltranza dello status quo in piccoli recinti di vittime di un sistema che li adula da una vita e non li premie­rà mai.