Gabriela Jacomella, Corriere della Sera 28/05/2011, 28 maggio 2011
VIETATO NON COPIARE - E
se copiare fosse una virtù? Prima che qualcuno, sdegnato, decida di appallottolare il Corriere e buttarlo nel cestino, chiariamo: questo non è un peana degli scopiazzatori. Non sosterremo, qui, che al posto di studiare è meglio concentrarsi sui piccoli e grandi stratagemmi, meglio ancora se virtuali (dagli sms ai siti specializzati), per «sfangarla» tra esami e interrogazioni.
Ma è possibile essere ladri di idee e al tempo stesso straordinari poeti. Perché esiste qualcosa che, in mancanza di definizioni più accurate, chiameremo la «copia creativa» . Prendete questa terzina, traboccante tremori preadolescenziali: «Quindi sen va su per la scala odiata /a raggiunger dolente il mentor pravo /e perder la speranza già all’entrata…» . Il titolo è L’inferno scolastico; l’autore non si chiama Dante, bensì Pietro. E non è un poeta fiorentino, ma uno studente al secondo anno della secondaria di primo grado (le vecchie medie) di un istituto milanese. Vincitore, con 28 coetanei, del premio Raffaella Vallieri.
Prima che qualcuno gridi allo scandalo (ragazzini premiati per aver scopiazzato i classici della letteratura, orrore!): il «prestito» dantesco c’è, ed è dichiarato. Il titolo del concorso, organizzato dall’Associazione Vasilij Grossman, era, infatti, «Io non copio: rubo» — citazione della frase con cui Pablo Picasso fulminò Georges Braque, che lo accusava di aver «scimmiottato» i suoi quadri. I 700 partecipanti avevano dovuto scegliere un’opera che li ispirasse per poi «ricrearla» con le proprie idee, il proprio stile, la propria sensibilità.
Certo fa un po’ effetto, un concorso che ha come logo un bimbo mascherato in stile Banda Bassotti, intento a scarabocchiare su un foglio di carta: quasi come strizzare l’occhio ai nostri figli, facendo passare il concetto che copiare si può — anche se forse non si dovrebbe. Persino Claudio Magris, tempo fa, era arrivato a scrivere — giusto su queste pagine — un «elogio della copiatura» che, pur partendo da premesse diverse, giungeva a conclusioni ancor più drastiche: «Anzitutto copiare (in primo luogo far copiare) è un dovere, un’espressione di quella lealtà e di quella fraterna solidarietà con chi divide il nostro destino che costituiscono un fondamento dell’etica» . Chissà, forse così l’ex enfant prodige della politica tedesca Karl-Theodor zu Guttenberg, dimessosi da ministro della Difesa dopo che i giornali si erano scatenati sulle accuse di plagio relative alla sua tesi di dottorato, avrebbe salvato poltrona e reputazione.
In Germania (come nel mondo anglosassone), però, copiare è ancora uno stigma sociale. Mentre da noi la pratica sembrerebbe ormai sdoganata; dichiarare di aver copiato non è più tabù. «A scuola ero campione mondiale di copiatura — ha confessato, tra i tanti, Luca Cordero di Montezemolo—. Questo dimostra che anche chi copia ha speranza, perché anche così qualcosa si impara» . Stimola la creatività, aguzza l’ingegno, in fondo è un modo alternativo per studiare… E così molti insegnanti si rassegnano: finito il tempo delle punizioni draconiane, il più delle volte ci si limita a una ramanzina, anche perché — lo racconta bene un anonimo prof delle medie, intervistato dal sociologo Marcello Dei nel suo Ragazzi, si copia. A lezione di imbroglio nelle scuole italiane (Il Mulino) — rispetto a chi consegna in bianco, «denota un senso di responsabilità, un fatto positivo: voler superare la prova» .
«Qualcuno diceva che solo i cretini non copiano, perché copiare vuol dire rielaborare. Io aggiungo che per copiare, bisogna sapere» . Francesca Lavizzari, dirigente scolastico all’Istituto Cavalieri di Milano, ha passato una vita tra ragazzini di elementari e medie. Sarebbero loro, secondo Dei, i «nuovi scopiazzatori» : tra ultimo anno della primaria e fine della secondaria inferiore, solo il 25,9%dichiara di non copiare «mai» . «Ma alle medie cosa c’è da copiare? Tutt’al più un risultato di matematica, e in questo caso è meglio che incartarsi su un calcolo, se si è compreso il ragionamento. Se c’è una rielaborazione personale, un eventuale input iniziale non mi scandalizza. Purché al centro ci sia sempre una cultura della legalità: la copiatura non va tradotta nel fatto che sono furbo e quindi ti frego» .
E il discorso vale anche quando il materiale è «preso in prestito» dal Web, grande risorsa dei copiatori contemporanei: «Mi affascina il discorso di Henry Jenkins sulla cultura convergente, la Rete come luogo in cui le nozioni vengono reinserite, fatte rivivere, reinterpretate — commenta lo scrittore Alberto Brasioli, a capo della giuria che ha premiato Pietro e i suoi compagni —. Dalí diceva che chi non cerca di imitare qualcosa, finisce per non produrre nulla. Ma attenzione: la creatività nasce solo se si fa propria la cosa imitata, reinterpretandola» . Raymond Queneau li chiamava esercizi di stile. L’unico modo in cui saper copiare, improvvisamente, può diventare una virtù
Gabriela Jacomella