Cristina Lacava, IoDonna 28/5/2011, 28 maggio 2011
DIEGO ABATANTUONO
Rapporto con le nuove tecnologie?
Scarso. In compenso, in famiglia gli altri sono ferratissimi. Dico che non so fare una cosa e subito si precipitano ad aiutarmi. Così non mi sforzo neanche di imparare.
Che cosa porta sempre in viaggio?
L’allegria. Non parto mai solo, mi diverto se condivido. La mia casa è piena soprattutto di persone. Ho fatto 100 film; se non mi fossi divertito, sarebbe stato un guaio.
Primo mezzo motorizzato?
Un vecchio Solex lasciato da mio nonno: L’unica eredità mai ricevuta. Era pericoloso, si sbandava facilmente e si rischiava di cadere. Ma ci tenevo tanto. Purtroppo un giorno me l’hanno rubato.
Che cos’ha sul comodino?
Un bicchiere d’acqua, il telecomando, occhiali di vario tipo per vedere meglio sia da vicino, sia da lontano. Fino a qualche anno fa leggevo prima di addormentarmi, ora guardo un programma in tv.
Il libro della vita?
Ne ho tre, letti da ragazzo: il De bello Gallico, ovviamente in italiano, La noia di Alberto Moravia, Cent’anni di solitudine, di Gabriel Garcia Marquez. Ricordo soprattutto La noia: mi affascinava quel senso del tempo, così tipicamente adolescenziale. Da adulto non ti annoi più, il tempo corre velocissimo.
Come se la cava in cucina?
Bene, ma sono pigro. Lo faccio cadere dall’alto, per non creare l’abitudine. In genere, per competenza regionale, mi toccano i risotti.
Che cosa non manca mai nel suo frigo?
Quando ero single il frigo era vuoto. Ora, con i ragazzi, è stracolmo. Si mangia sempre, solo che loro non ingrassano, mia moglie neanche e l’unico che ne risente sono io.
Una collezione?
Le tazze. Ne ho a centinaia. E gli amici continuano a regalarmene. Per fortuna si è arenata la serie degli elefantini: devono averli dimenticati...
Acquisti seriali?
I quadri. Mi sono sempre regolato così: se mi piacciono e non costano troppo li compro, senza pensare se sono un buon investimento o meno. Tra i miei artisti preferiti Mario Arlati, Francesco Rubino, Mauro Donati.
L’oggetto più caro?
Ne ho tanti, perché non butto niente. Dalla casa dei miei ho portato i modellini di navi di mio padre, che aveva un negozio di modellistica. Nel suo campo, era quasi un ingegnere navale: le aziende gli affidavano i prototipi, lui li riduceva in scala. Non potrei neanche fare a meno delle foto: ne ho scatoloni interi, con tutte le fasi della mia vita.
Come ha speso il primo stipendio?
A 15 anni lavoravo al Derby, dove mia zia era guardarobiera. Mi occupavo delle luci. I soldi erano pochi, ma passavo le serate con Enzo Jannacci, Giorgio Gaber, Cochi e Renato... Abitavo al Giambellino; i miei amici, i Gatti di vicolo Miracoli, a piazzale Loreto. Per andare da loro prendevo il metrò e scendevo in centro. Guardavo le vetrine di lusso, poi risalivo. Una volta ho visto in una boutique un doppiopetto cammello. Mia madre mi ha aiutato a comprarlo. Avevo 16 anni, pesavo 73 chili: mi stava benissimo.
Che cosa fa per tenersi in forma?
Dipende. Per girare con Armando Trivellini Area Paradiso (la sua prima fiction da regista, in onda prossimamente su Canale 5, ndr), ho avuto poco tempo per lo sport. Ma ne ho fatto tanto, soprattutto calcio e tennis. Amo anche il nuoto ma non le piscine pubbliche, affollate e piene di cloro.
La spalla su cui piangere?
Gli amici sono specializzati nel sopportare i miei pianti. Ma forse le migliori spalle sono le mogli (l’attuale, Giulia, e la precedente, Rita) e i figli (Marta, 25 anni, dal primo matrimonio; Matteo, 15, e Marco, 13, dal secondo, ndr).
Un ricordo?
La Singer di mia madre, ancora funzionante. Meno male che ho tre case, sennò chissà dove metterei le mie cose. Aggiungerei i copioni dei miei film, un centinaio.
Il luogo del cuore?
Ne ho diversi. Milano, dove sono cresciuto; Vieste, il paese di mio padre dove passavo le vacanze da bambino; Lucca, la città natale di mia figlia Marta; il Marocco, del quale mi sono innamorato ai tempi di Marrakech Express. Da vent’anni ho una casa sulle colline di Riccione, che amo molto. Così come il Salento, conosciuto ai tempi del Giudice Mastrangelo.
Vacanza indimenticabile?
A 17 anni con i Gatti di vicolo Miracoli siamo andati in Sardegna. Al largo di Budelli, io e Umberto Smaila ci siamo tuffati dalla barca presa a nolo. Che schizzi!
Il film?
Se faccio questo lavoro è perché ci sono stati Ugo Tognazzi, Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Mario Monicelli, Federico Fellini. Tra mille titoli sceglierei Amarcord, che racchiude tante cose.