f. mo., Corriere della Sera 28/5/2011, 28 maggio 2011
Sono passati quarant’anni dal 27 maggio ’ 71, il giovedì in cui Armando Picchi morì per una forma di amiloidosi
Sono passati quarant’anni dal 27 maggio ’ 71, il giovedì in cui Armando Picchi morì per una forma di amiloidosi. Non aveva ancora compiuto 36 anni. Nell’estate ’ 70, il capitano dell’Inter euromondiale era diventato l’allenatore di una Juve tutta nuova. Ieri, nel ricordarlo attraverso la presentazione di una serie di eventi al decollo ai primi di giugno (il docu-film «Diario di bordo del capitano» , una mostra, un talk-show, un libro), le autorità di Livorno, la città del capitano (a lui è intitolato lo stadio), hanno fatto capire perché uno come Picchi non possa essere dimenticato. Anche dopo 40 anni, che nello sport sono un’eternità. Lo ha spiegato soprattutto Massimo Moratti, con parole piene di affetto e di nostalgia per i tempi andati: «Picchi aveva il senso dell’autorità, ma era buonissimo, persino timido. Cercava di capire gli altri, era intelligente, sapeva decidere. Era di quei giocatori dei quali ti potevi fidare. Cercava di sapere, di imparare, di capire dagli occhi e dall’atteggiamento degli altri quale fosse la reale necessità del momento» . Moratti ha unito la personalità di Picchi a quella di Javier Zanetti: «La dedizione, l’impegno, la professionalità e la passione di Armando le ritrovo in Zanetti e sono onorato che lui sia il capitano di questa Inter» . La trasformazione di Picchi in libero, lui che era arrivato all’Inter dalla Spal nel ’ 60 come terzino destro, è sempre stata considerata una delle grandi intuizioni di Helenio Herrera. Moratti ha raccontato come tutto sia cominciato per caso: «Si era infortunato Balleri; siccome non c’erano le sostituzioni ed era meglio, così si spendeva di meno, perché bastavano 12 o 13 giocatori, toccò a Picchi spostarsi al centro. Da allora è diventato il libero per definizione. Non capisco perché il ruolo del libero sia scomparso dal calcio, anzi chi ne parla rischia di fare una brutta figura. Io trovo che quello fosse un sistema di gioco bellissimo, perché si prendevano pochi gol e si vinceva tutto. Noi ci eravamo abituati a vedere Armando sollevare le coppe e la squadra dietro di lui, in quel giro di campo che era la sintesi della grandezza di quella squadra» . In realtà l’Inter che vinceva tutto non è finita a Mantova il 1 ° giugno ’ 67, ma qualche giorno dopo, quando Herrera impose la cessione di Picchi (al Varese) e Guarneri (al Bologna). Il mago aveva sempre sofferto il capitano. La fine anticipata e traumatica di una grande storia.