Fausto Biloslavo, il Giornale 27/5/2011, 27 maggio 2011
Il macellaio comunista esperto di grappe, massacri e stupri etnici - A Gorazde, una delle città martiri della Bosnia, sotto le cannonate dei carri armati serbi, il generale Ratko Mladic veniva a godersi lo spettacolo osservando con il binocolo le case che bruciavano e i minareti spezzati a metà
Il macellaio comunista esperto di grappe, massacri e stupri etnici - A Gorazde, una delle città martiri della Bosnia, sotto le cannonate dei carri armati serbi, il generale Ratko Mladic veniva a godersi lo spettacolo osservando con il binocolo le case che bruciavano e i minareti spezzati a metà. Alla resa di Srebrenica sono agghiaccianti le immagini che lo riprendono mentre accarezza i bambini e assicura le donne prima di farle deportare verso Tuzla sotto gli occhi dei caschi blu olandesi. Non tutte sono arrivate salve a destinazione o hanno evitato lo stupro. Peggio è andata ai loro uomini e figli fatti prigionieri. In 8mila sono stati passati per le armi dalla soldataglia serba di Mladic. Il generale aveva annunciato la caduta delle disgraziate enclave di Srebrenica e Zepa come «un dono» per i serbi e «una vendetta contro i turchi», i bosniaci musulmani. È così che Mladic si conquista il nome di macellaio di Srebrenica. La prima volta che l’ho incontrato, nel 1991,all’inizio della mattanza jugoslava, era colonnello del IX Corpus a Knin, nell’entroterra dalmata. La Croazia si stava infiammando e quando gli ho chiesto un’intervista all’ingresso del suo quartier generale ancora un po’ mi faceva arrestare. Il futuro signore della guerra è nato 69 anni fa a Kalinovik, un villaggio bosniaco che faceva parte della Croazia alleata del Terzo Reich. Suo padre era un partigiano di Tito ucciso nel 1945. Il nome dell’orfano, Ratko, deriva, in serbo, dalla parola guerra. Inevitabile che il giovane Mladic scelga il comunismo e la carriera nell’esercito jugoslavo. Nel 1992, da Knin, ripiega con una lunga colonna verso la Bosnia, dove assume il comando delle truppe serbo bosniache, circa 80mila uomini. Mladic non è solo il braccio armato di Radovan Karadzic, il leader politico dei serbi di Bosnia, che lo attende a L’Aja. Il generale, promosso sul campo, è l’uomo forte della Grande Serbia. Occhi azzurri, collo taurino, forte fumatore e bevitore di grappe, Mladic va in prima linea a incitare i suoi soldati che lo osannano come un duce. Stritola Sarajevo a colpi di mortaio e cecchini, ma difende i quartieri serbi. I prigionieri li spedisce in veri e propri lager dove vengono trattati come bestie. Nel 1995, quando i caccia della Nato cominciano a bombardare i serbi, Mladic non si scompone. Prende in ostaggio i caschi blu incatenandoli come scudi umani ai ponti o altri obiettivi. A Pale, la minuscola «capitale» serba alle porte di Sarajevo, si fa vedere il meno possibile. Quando arriva, al contrario di Karadzic, avanza in mimetica in mezzo alle telecamere come un carro armato fulminando i giornalisti con uno sguardo di ghiaccio. Il vero quartier generale di Mladic è il bunker atomico di Han Pijesak voluto da Tito nel cuore della Bosnia. Il 24 luglio 1995, nei giorni del massacro di Srebrenica, viene inquisito dal Tribunale internazionale de L’Aja per genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità. Con la pace di Dayton e l’arrivo delle truppe internazionali in Bosnia non si preoccupa più di tanto. Lo riprendono sui campi da sci alle porte di Sarajevo e ogni tanto gioca a tennis con i vecchi commilitoni in qualche caserma serba. A lungo andare non ha altra scelta che rifugiarsi a Belgrado protetto dai servizi segreti di Slobodan Milosevic. Ogni tanto dicono di avvistarlo allo stadio, ma sparisce nel 2001, con la caduta di Milosevic. La leggenda vuole che esca dai suoi nascondigli solo per pregare sulla tomba di Ana, la figlia che adorava, morta probabilmente suicida nel 1994. Si dice che il papà generale avesse mandato a morire il suo fidanzato, inviandolo su uno dei fronti più caldi della guerra in Bosnia. Il cerchio inizia a stringersi con l’arrivo al potere del presidente riformista Boris Tadic. Mladic diventa un vero fantasma. A tal punto che la sua famiglia chiede la morte presunta per scongelare i 50mila dollari di pensione arretrata dell’ex ufficiale e alcuni beni sequestrati. In 15 anni di latitanza anche la Cia si convince che sia scappato all’estero,dove viene segnalato soprattutto in Russia. Invece si era nascosto a Lazarevo in Vojvodina, dove sembra essere tornato alle origini. Il villaggio è stato ripopolato alla fine della seconda guerra mondiale dai partigiani che hanno combattuto in Bosnia, come il padre di Mladic.