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 2011  maggio 27 Venerdì calendario

La Malfa: stiamo tornando il Paese deriso all’estero - Stiamo tornando indietro di cent’anni, ai tempi della Conferenza di Parigi, a Vittorio Emanuele Orlando che, dovendo negoziare i trattati di pace successivi alla Prima guerra mondiale, si esponeva ai giudizi sprezzanti di Clemenceau perché fingeva di capire Woodrow Wilson e Lloyd George, ma non sapeva l’inglese

La Malfa: stiamo tornando il Paese deriso all’estero - Stiamo tornando indietro di cent’anni, ai tempi della Conferenza di Parigi, a Vittorio Emanuele Orlando che, dovendo negoziare i trattati di pace successivi alla Prima guerra mondiale, si esponeva ai giudizi sprezzanti di Clemenceau perché fingeva di capire Woodrow Wilson e Lloyd George, ma non sapeva l’inglese...». Sotto gli occhi di Giorgio La Malfa, una vita da economista al di là e al di qua dell’Atlantico prima di fare il deputato, oggi all’opposizione dell’attuale maggioranza, scorre quella manciata di secondi in cui Berlusconi avvicina il Presidente degli Stati Uniti e, in italiano, gli spiega «dobbiamo fare la riforma della giustizia, in Italia c’è la dittatura dei giudici di sinistra». E Barack Obama chiede l’intervento di un’interprete. E’ un incidente ascrivibile all’atavico provincialismo italiano, secondo lei? Una semplice gaffe, una violazione di protocollo e di cerimoniale? «No, certo che no. L’Italia è sempre stata segnata in politica estera da un certo provincialismo, ricordo di aver visto Henry Kissinger strapparsi le cuffiette della traduzione mentre stava parlando un nostro presidente del Consiglio assai prolisso, e non mi faccia dire chi fosse. Ma qui siamo molto, molto oltre. Siamo, soprattutto, non in una semplice maleducazione, ma in una patologia. Chi di noi potrebbe immaginarsi l’opposto di quello cui abbiamo assistito, e cioè Obama che avvicina Berlusconi e si mette a disquisire con lui, che non sa l’inglese, della giustizia nel Missouri?». Nessuno, onorevole La Malfa. Anche perché il Presidente degli Stati Uniti non ha processi a carico, nemmeno in Missouri. «E’ proprio questo il punto. Luttwak l’ha detto l’altra sera, chiaro e tondo, in televisione: i leader del mondo ormai temono di farsi fotografare con Berlusconi. E Berlusconi sa benissimo di godere all’estero di un impressionante discredito. Io sono tornato da Londra qualche giorno fa, a una conferenza ho incontrato alcuni deputati tory e liberali: mi hanno detto di sentirsi sollevati per l’esito dei ballottaggi a Milano. E ero sollevato anch’io, ogni volta che vado in Inghilterra di solito mi chiedono perché gli italiani continuano a votare per Berlusconi. Stavamo diventando noi il problema, non lui». Come si spiega l’incidente al G8 con Obama? «Sarebbe inspiegabile persino per Berlusconi, se non ci si ricordasse com’era, solo la sera prima, sulla poltroncina bianca di Bruno Vespa. Io l’ho guardato attentamente. Berlusconi continuava a dire che anche Zapatero in Spagna, anche la Merkel in Germania, anche Sarkozy in Francia hanno perso... Parlava anticipando la propria sconfitta, mostrando chiaramente di aver ormai introiettato la sconfitta. E’ ormai un uomo solo. Quando ha perso il controllo con il Presidente degli Stati Uniti lo ha fatto perché si sente isolato, abbandonato anche dai suoi. E ha cercato conforto in Obama. Andandogli a parlarein italiano, costringendolo ad alzarsi e a chiedere l’intervento di un’interprete. Rendendo così plastico, immediatamente visibile a tutti, l’impressionante isolamento che patisce. E che purtroppo, finché c’è Berlusconi a Palazzo Chigi, patisce anche l’Italia».